Introduzione
Nella nostra qualità di ortodossi italiani, ci
siamo sentiti proporre più di una volta la domanda "ma in che cos'è
che siete differenti dai cattolici?"
Trattandosi di una domanda piuttosto generalizzata, talvolta
ce la siamo sentita porre per mera curiosità, senza un reale desiderio
di comprensione. Ma spesso, dietro questa richiesta apparentemente banale,
si cela un cammino di ricerca e di vero struggimento interiore, alla scoperta
di un cristianesimo più autentico e profondo.
Poiché è nostra convinzione che il cristianesimo
più autentico si trovi proprio nella Chiesa ortodossa, abbiamo creduto
opportuno fare alcuni cenni scritti sulle differenze tra questa e il Cattolicesimo
romano. Abbiamo cercato, per quanto possibile, di presentare i fatti
dei punti di divergenza, e quindi le loro interpretazioni (teologiche,
liturgiche, pastorali).
Confidiamo che queste pagine siano utili soprattutto
a tre categorie di persone:
- I sinceri ricercatori della verità, che di fronte
alla tirannia del relativismo del nostro tempo, non sanno più in
cosa credono, o che si chiedono se credere abbia ancora un senso.
- I nostri amici cattolici romani, spesso convinti (e
in questo presumiamo sempre la buona fede) che le nostre due espressioni
di fede siano "pressoché uguali". A loro chiediamo, in tutta onestà,
di riflettere con attenzione su questi punti. Se certe nostre affermazioni
sembreranno loro troppo dure, non chiediamo di meglio che sapere le loro
ragioni. È in questo modo che nasce ogni autentico dialogo.
- I nostri fratelli ortodossi, perché (anche qualora
non apprezzassero la nostra impostazione) si sentano incoraggiati a scavare
alle radici della propria fede. Nella speranza che questo nostro piccolo
sforzo possa aiutarli a riscoprire i tesori della loro tradizione, chiediamo
loro di pregare per noi peccatori e indegni.
Alcune delle differenze che qui elenchiamo sono di natura
teologica e dogmatica, e toccano i principi stessi della fede cristiana,
altre sono dovute a usanze locali o a situazioni storiche contingenti;
alcune possono essere espressioni di una legittima varietà all'interno
dell'aderenza ai punti essenziali della fede; alcune differenze potrebbero
forse essere scartate come irrilevanti, ma noi non ci permettiamo di farlo,
proprio per uno dei principi basilari dell'Ortodossia: la ferma convinzione
che la Fede Ortodossa altro non sia che la pienezza della fede e della
tradizione apostolica, conservata con cura nel corso dei secoli, alla
quale nulla è stato aggiunto, e nulla è stato tolto.
E' pur sempre possibile che vi siano particolari contingenti, sfumature
dovute a particolarità locali o a compromessi marginali con il mondo,
il cui abbandono non pregiudica la tradizione ortodossa, ma noi non oseremmo
mai determinare da noi stessi quel che è necessario e quello
che non lo è. L'Ortodossia è nella sua essenza una comunione
di amore, e la determinazione degli aspetti necessari o contingenti
deve essere espressione di questa comunione, e non può essere demandata
all'arbitrio dei singoli.
Non abbiamo ritenuto opportuno dare alle differenze tra
Ortodossia e Cattolicesimo romano un ordine gerarchico (per le ragioni
elencate sopra), né disporle in modo sistematico (in quanto alcune
differenze di carattere, per esempio, liturgico o terminologico, nascondono
dietro di loro ragioni ben diverse di carattere teologico o filosofico).
Ci siamo pertanto attenuti, anche per favorire la ricerca di punti specifici,
all'ordine alfabetico delle varie voci. Abbiamo posto il termine "Ortodossia"
in maiuscolo quando si riferisce alla Chiesa ortodossa, in minuscolo quando
è riferito alla conformità di una dottrina all'insegnamento
della Chiesa. Allo stesso modo, "Cattolicesimo" è stato posto in
maiuscolo laddove definisce la Chiesa cattolica romana.
Agostino di Ippona e la sua teologia
Pur non avendo obiezioni sulla santità personale
di Agostino di Ippona, sulla sincerità della sua conversione e sulla
ricchezza umana e profondità del suo impegno per Cristo, l'Ortodossia
ritiene le sue conclusioni teologiche per lo meno potenzialmente fuorvianti
e pericolose.
Questa è la ragione per cui numerose chiese ortodosse
preferiscono usare il termine "Beato Agostino", escludendolo dal novero
dei santi universali, pur ponendolo tra i giusti, anche per l'umiltà
di avere affidato alla Chiesa il compito di correggere gli errori riscontrati
nei suoi scritti.
La posizione delle singole chiese ortodosse nei confronti
di Sant'Agostino non è univoca (curiosamente, furono proprio i grandi
difensori della fede ortodossa, come San Fozio e San Marco di Efeso, a
tenerlo in maggiore stima e venerazione), ma certamente l'Ortodossia non
lo pone tra i maggiori Padri della Chiesa, men che meno al primo posto,
come la Chiesa cattolica romana ha sempre tendenzialmente fatto.
Questo non è il luogo per un'analisi delle possibili
deviazioni della teologia agostiniana, ma possiamo brevemente elencare
i punti che l'Ortodossia ha ritenuto più pericolosi:
1) una diminuzione dell'enfasi sull'aspetto personale
della Santissima Trinità, che riduce le persone a semplici "relazioni"
dell'unica essenza divina;
2) l'adozione di una concezione pessimistica sul peccato
originale;
3) una tensione esagerata nella dialettica tra natura
e grazia.
Il primo punto è stato tra le cause della nascita
di concezioni impersonali della divinità (deismo); gli altri due
sono alla base della lunga querelle tra Cattolicesimo romano e mondo
protestante.
Apparizioni mariane
Le apparizioni mariane nel mondo ortodosso (ricordiamo
la visione nella Chiesa delle Blacherne a Costantinopoli, che generò
la festa della Santa Protezione, e gli innumerevoli episodi collegati alle
icone mariane) sembrano indicare un'azione di custodia amorevole e silenziosa,
del tutto conforme all'immagine di Maria offertaci nei Vangeli. Questo
potrebbe spiegare la diffidenza con cui la coscienza ecclesiale ortodossa
valuta le apparizioni mariane che la Chiesa cattolica romana ha autenticato
nel corso degli ultimi due secoli.
La quantità di messaggi e "segreti", rivelati
a veggenti per lo più in età tenera e impressionabile, è
di per sé sospetta per la sensibilità ortodossa, così
come alcuni contenuti teologici. Un esempio tra questi ultimi è
il tema delle preghiere e sofferenze "riparatrici," di cui spesso si parla
in tali visioni. Una simile prospettiva, nell'ottica ortodossa, denigra
l'idea dell'offerta del nostro Signore per noi con il suggerimento che
la nostra sofferenza supplisca in qualche modo per gli altri ciò
che manca nella sua offerta di Se stesso. Qui siamo molto vicini alla delusione
blasfema di pensare che noi possiamo salvare gli altri con le nostre preghiere
e sofferenze, mettendoci in tal modo al posto di Cristo. San Pietro di
Damasco esprime la comprensione ortodossa quando dice: "noi non osiamo
chiedere l'intercessione a nome di tutti, ma solo per i nostri peccati."
Assunzione di Maria
Il 1 Novembre 1950, con la Costituzione Apostolica Munificentissimus
Deus, Papa Pio XII proclamava il dogma dell'Assunzione corporea al
cielo della Madre di Dio. Anche se la Chiesa ortodossa festeggia fin dal
IV secolo la festa della Dormizione della Madre di Dio (e l'assenza di
reliquie corporali di Maria fa pensare che tale festa fosse giustificata
anche in data precedente), con abbondanza di apocrifi neotestamentari,
di letteratura patristica e di testi liturgici a riguardo, tuttavia ci
sono delle ragioni per una riserva ortodossa riguardo alla formulazione
del dogma.
In primo luogo, la festa della Dormizione mette in esplicito
collegamento l'assunzione corporale con la morte della Madre di Dio (secondo
le narrazioni apocrife, fu proprio la scomparsa del corpo di Maria dal
sepolcro dopo la sua sepoltura a generare la venerazione di questo evento):
il dogma cattolico romano non definisce la morte di Maria, e l'opera preparatoria
del dogma, La mort et l'assomption de la Vierge Marie, di P. Martin
Jugie, mette addirittura in dubbio tale morte.
Inoltre, per la teologia ortodossa, l'Assunzione di Maria
al cielo fu il frutto della sua maternità divina e della risurrezione
di Cristo; la formulazione del dogma del 1950, invece, fa derivare l'Assunzione
direttamente dall'Immacolata concezione di Maria (q.v.), per la quale si
sollevano nuovamente le obiezioni teologiche ortodosse a riguardo.
Infine, si contesta la proclamazione di un dogma a fronte
dell'assenza di una specifica eresia che, al tempo della proclamazione,
minacciasse la fede della Chiesa: l'Ortodossia non ha mai conosciuto dogmi
proclamati al puro scopo di "chiarire" aspetti dottrinali.
Bacio rituale
L'espressione corporea del bacio, oggi limitata nel rito
latino a rari gesti dei celebranti, è un'esternazione di pietà
tipica del culto ortodosso, che indica venerazione, rispetto e senso di
comunione. Entrando in chiesa, i fedeli baciano le icone, e durante le
funzioni è pratica comune baciare la mano dei celebranti (a significare
la mano di Cristo da cui si riceve ogni grazia sacramentale), o altri oggetti,
quali i paramenti, la croce e il libro dei Vangeli (ragioni esclusivamente
pratiche sconsigliano di baciare il turibolo acceso...); il saluto di pace
tra i celebranti avviene tipicamente nella forma del bacio, così
come la venerazione delle reliquie.
Banchi e sedie
Uno dei particolari che si notano più facilmente
entrando nelle chiese ortodosse è la relativa assenza di posti a
sedere. Solo le chiese adattate da precedenti luoghi di culto cattolici
e protestanti hanno abbondanza di banchi e sedie; nelle altre si trovano
abitualmente dei sedili lungo le pareti, riservati alle persone anziane
o inferme. Nella tradizione ortodossa, i fedeli stanno in piedi praticamente
per tutta la durata delle funzioni (un'abilità che si raggiunge
con la pratica), e sono poche le preghiere o i momenti di culto per le
quali è prescritto ai fedeli di sedersi o inginocchiarsi. In realtà,
capita spesso di trovare un'avversione tipicamente ortodossa per i sedili
posti in mezzo alla navata (soprattutto i banchi con inginocchiatoi), che
vengono visti come un impedimento al culto (che rende impossibili, per
esempio, le prosternazioni e altre espressioni individuali di pietà),
un irrigidimento del ruolo del fedele, e una limitazione alla sua connessione
e relazione con l'ambiente e il concetto spaziale di "Cielo sulla terra".
Battesimo
La Chiesa ortodossa continua ad amministrare, secondo
il costume apostolico, il battesimo mediante triplice immersione del corpo
del battezzando. Già uno dei più antichi testi di istruzione
cristiana, la Didaché, ammette in caso di necessità
l'amministrazione del battesimo mediante il triplice rovesciamento di acqua
("infusione") sul capo. Questo atto di eccezione (che nei primi secoli
veniva usato solo nei confronti di malati gravi e di prigionieri nelle
celle) divenne la norma nelle chiese cattoliche di rito romano in tempo
medioevale. Così venne stravolto non solo il senso dello stesso
termine "battesimo" (in greco baptìzein significa immergere),
ma anche il suo senso simbolico di immersione nel Nome (realtà)
delle Persone della Santa Trinità, e della rinascita, o emersione,
alla vita nuova. Quando il segno esteriore non è più corrispondente
al significato interiore, gran parte della comprensione dell'atto sacramentale
viene perduta.
Battesimo d'emergenza
Nei casi in cui si deve procedere a un battesimo di emergenza
(in assenza di un sacerdote) la persona del battezzante, secondo i teologi
cattolici romani, può anche essere un non cristiano, purché
amministri il battesimo secondo le modalità e l'intenzione della
Chiesa. L'Ortodossia, al contrario, ha sempre sostenuto che il battezzante
deve essere a sua volta battezzato. Il principio è quello che non
si può dare ciò che non si possiede: la posizione cattolica
romana, portata alle sue estreme conseguenze, rischia di far dipendere
un sacramento dal puro requisito formale della sua corretta applicazione.
Calendario
La maggioranza numerica degli ortodossi nel mondo (Russia,
Bielorussia, Ucraina, Georgia, Serbia, il Monte Athos, Gerusalemme e il
Monte Sinai, con le numerose dipendenze di questi ultimi tre, oltre a una
consistente parte degli ortodossi polacchi, cechi, slovacchi e dei Paesi
Baltici, e molte comunità della diaspora) segue ancora il tradizionale
calendario giuliano per il computo delle feste, in ritardo di circa due
settimane rispetto al calendario civile. Le altre chiese ortodosse autocefale,
a partire dal 1924, hanno introdotto il calendario gregoriano (lo stesso
in uso nell'Occidente cristiano), per quanto riguarda il ciclo delle festività
a data fissa. Con poche eccezioni dovute alla presenza ortodossa in paesi
occidentali, tutte le Chiese ortodosse celebrano invece il ciclo della
Pasqua, e delle feste mobili a questa connesse, secondo l'antico calendario.
Le ragioni dell'aderenza al vecchio calendario - che
hanno procurato in questi ultimi decenni non poche amarezze tra gli stessi
ortodossi - sono molteplici:
1) in primo luogo, il calendario giuliano ecclesiastico,
e i cicli pasquali dei Padri della Chiesa di Alessandria, costituiscono
un prodigio di ritmo e di armonia tra scienza e fede, a cui il calendario
gregoriano (frutto di un'epoca di ossessione "scientista" per l'esattezza
della data astronomica dell'equinozio di primavera) non riesce neppure
ad avvicinarsi.
2) Inoltre, le "imprecisioni" astronomiche che la riforma
gregoriana si vanta di avere eliminato sono state meramente attenuate,
e i dati del calendario gregoriano, per i difetti dovuti a qualsiasi calendario,
vanno anch'essi discostandosi sempre più dai dati reali.
3) Infine, l'adozione del calendario gregoriano causa
innumerevoli violazioni alle norme della Chiesa, prima fra tutte quella
che, rifacendosi a un decreto del Concilio di Nicea (325) proibisce la
celebrazione della Pasqua nello stesso giorno della Pasqua ebraica.
Con l'adozione del calendario gregoriano nel 1582, la
Chiesa cattolica romana ruppe per la prima volta l'unità della Pasqua
e delle feste cristiane. Oggi è quanto meno singolare vedere la
maggioranza degli ortodossi accusati di "arretratezza" o di mancanza di
spirito fraterno, per avere voluto mantenere, nella vita della Chiesa,
l'integrità del deposito di fede dei Padri.
Canoni
I Santi Canoni, composti come guide o regole della Chiesa
dagli apostoli, dai Santi Padri, e da Concili ecumenici e locali, sono
applicati nella Chiesa ortodossa dall'autorità del vescovo, che
ha l'opzione di interpretarli secondo una posizione severa (acrivìa)
oppure misericordiosa (economia) a seconda dei casi (la severità
è la norma). L'Ortodossia non vede i canoni come leggi che regolano
le relazioni umane o che salvaguardano diritti umani, ma piuttosto come
mezzi per forgiare la "nuova creatura" attraverso l'obbedienza. Sono addestramento
alla virtù, e fonte di santità, ed è per questo che
nella Chiesa ortodossa non possono essere ignorati o scartati, anche se
alcuni (generalmente delle semplici specificazioni di canoni antichi) possono
essere aggiunti di tanto in tanto. Roma può permettersi, a ogni
cambiamento di circostanze esterne, di mutare i propri canoni per tenerli
al passo con i tempi, e di ignorare quelli antichi. L'Ortodossia, ritenendo
i canoni ispirati dallo Spirito Santo, e consapevole dell'immutabilità
dei veri problemi e necessità umane, non può condividere
questa linea.
Canonizzazioni
La Chiesa ortodossa non ha più inserito nei suoi
calendari i santi canonizzati dalla Chiesa cattolica romana dopo il grande
scisma del 1054, mentre mantiene i santi anteriori a questa data. Anche
con l'accettazione in seno alla Chiesa ortodossa di cristiani occidentali,
non è stata loro permessa la venerazione pubblica di santi "latini"
posteriori allo scisma. La Chiesa cattolica romana, al contrario, ha permesso
la venerazione di santi "greci" canonizzati dagli ortodossi dopo lo scisma,
tipicamente nei casi delle Chiese cattoliche orientali.
Dietro la severità della procedura ortodossa c'è
un'istanza di profonda serietà: il rifiuto di "rubare" santi a chiese
che non sono in comunione con la Chiesa ortodossa (anche figure che maggiormente
potrebbero essere vicine alla spiritualità ortodossa) è motivato
dal desiderio ortodosso di cercare in primo luogo una piena comunione nella
fede, e solo a quel momento sancire una celebrazione comune.
"Cattolica": il senso del termine
La differenza di nome ("Chiesa cattolica" e "Chiesa ortodossa")
non deve far pensare a marchi depositati. Gli stessi ortodossi, spesso,
si definiscono "Chiesa Cattolica Ortodossa" o "Chiesa Cattolica Ortodossa
dell'Est". La coscienza ecclesiale ortodossa rifiuta un'identificazione
tra "cattolicesimo" e "sede romana" come se questi termini fossero indispensabilmente
legati l'uno all'altro.
Nel definirsi "cattolici", gli ortodossi usano il termine
nella radicale convinzione di essere la Chiesa "una, santa, cattolica
e apostolica", in cui professano la fede quando recitano il Credo.
"Cattolica", com'è noto, viene di solito tradotto
in italiano con la parola universale, ma esistono sfumature di significato
che rendono il termine più profondo e ricco di quanto sembri a prima
vista. Il greco katholikà (che letteralmente significa "secondo
il tutto") può significare anche una "universalità interiore"
(nel senso di globalità che contiene tutta la verità nella
sua pienezza) oppure un principio di conciliarità o sinfonicità
di Chiese locali (espresso con forza dalla traduzione slava sobòrnaia).
Una universalità vista nel puro senso di disseminazione geografica,
di notorietà mondiale, o di superiorità numerica (argomenti
spesso usati dalla Chiesa romana per avallare la propria posizione) ha
poco senso per l'Ortodossia, se non è accompagnata da una "cattolicità"
di fede inalterata.
Il fatto stesso che il mondo latino, pur sottolineando
i significati "quantitativi" di universalità, abbia preferito usare
per la Chiesa il termine greco catholica piuttosto che quello latino
universalis, fa pensare che il senso di "cattolicità" mantenuto
nella Chiesa ortodossa sia più prossimo alla coscienza ecclesiale
originaria.
Il nome "cattolica", per di più, non ha solo una
dimensione filologica, ma anche una molto pratica e tangibile nel diritto
internazionale. Nella lista delle religioni mondiali presso le Nazioni
Unite, l'entità nota come "Chiesa cattolica" è registrata
sotto il nome di Chiesa cattolica romana, mentre quella nota come
"Chiesa ortodossa" è registrata sotto il nome di Chiesa cattolica
ortodossa.
Carattere sacramentale
La Chiesa cattolica romana, sotto l'influsso della teologia
scolastica, ha adottato una dottrina particolare, non condivisa dall'Ortodossia,
per spiegare perché i sacramenti del Battesimo, della Cresima e
dell'Ordine Santo non vengono ripetuti. Secondo tale dottrina, questi tre
sacramenti, oltre a conferire la grazia divina, imprimono sull'anima un
segno indelebile, che non cessa di esistere anche se la grazia divina del
sacramento si ritira a causa del peccato. Questa dottrina è vincolante
per i cattolici romani (Concilio di Trento, sess. VII, Canone 9).
La teologia ortodossa ribadisce che la teoria del carattere
sacramentale, priva di un solido appoggio scritturale e patristico, crea
un'arbitraria qualificazione all'interno dei sacramenti, ed è incapace
di spiegare la natura del carattere sacramentale, e la sua eventuale esistenza
al di fuori della grazia conferita dal sacramento. La dottrina sostenuta
nella Chiesa ortodossa è che i tre sacramenti in questione (come
pure il sacramento della Penitenza, per quanto riguarda i peccati già
confessati e assolti) non si reiterano, perché non esiste più
la causa per la quale quei sacramenti furono conferiti. Vale la
pena notare che il secondo conferimento della Cresima agli apostati che
rientrano nella Chiesa (testimoniato già in tempi antichi), non
è considerato reiterazione del primo sacramento, ma segno di riconciliazione.
Cesaropapismo
Tra le più frequenti accuse rivolte dai cattolici
romani all'Ortodossia (e a tutto l'Oriente cristiano in generale) vi è
quella di una forte ingerenza degli stati secolari (siano essi imperi cristiani,
stati laici o regimi atei) negli affari interni della Chiesa (cesaropapismo).
La posizione sopranazionale di Roma garantirebbe, secondo questa visione,
una libertà dalle intrusioni statali nelle questioni religiose.
Occorre chiarire subito che quest'accusa non ha niente
a che vedere con un eventuale pericolo per la purezza della fede: se così
fosse, allora la controversia iconoclasta (ovvero la forzatura di un elemento
estraneo alla fede apostolica da parte dello stesso potere imperiale) non
avrebbe dovuto essere affatto una controversia in Oriente, mentre di fatto
lo fu, e grande. La questione riguarda piuttosto diversi livelli di libertà
di espressione e di culto, messi in pericolo da ingerenze statali.
Questa potrebbe risultare una divergenza più profonda
e difficile da sormontare di quanto sembri, poiché alla base stanno
due idee totalmente antitetiche dell'atteggiamento che i cristiani dovrebbero
avere di fronte al mondo. Il contrasto potrebbe essere espresso, in modo
forse semplicistico ma chiaro, nel dilemma: "è meglio asservirsi
allo Stato o soppiantare lo Stato?" (Le due alternative rappresenterebbero
i rispettivi punti deboli dell'Oriente e di Roma).
Ovviamente, è impossibile rispondere in modo generalizzato:
gli ortodossi ritengono comunque che la costituzione di un centro ecclesiastico
che si duplica come potere politico (la soluzione romana dello Stato della
Chiesa, della rappresentanza diplomatica sovranazionale, e così
via) sia assai più pericolosa che il dominio temporale di uno Stato
transitorio, per quanto ostile.
Chiesa docente e discente
La Chiesa romana ha sempre avuto grande cura di definire
le funzioni dei propri fedeli nei vari ruoli della vita ecclesiastica.
In particolare, una netta distinzione ha caratterizzato l'orizzonte dottrinale
del Cattolicesimo romano: quella tra Chiesa "docente" (coloro che sono
preposti al compito dell'insegnamento e della trasmissione del deposito
della fede, storicamente il Papa e i vescovi, o prelati equiparati ai vescovi,
in comunione con il Papa) e Chiesa "discente" (coloro che apprendono la
dottrina, ovvero tutti gli altri cristiani, inclusi i preti, che pure hanno
il mandato della predicazione). Questa suddivisione è stata causa
di profonde fratture psicologiche tra i fedeli, incoraggiando un tipo di
gerarchizzazione collegato al ruolo didattico.
L'Ortodossia, d'altro canto, ha sempre rifiutato la distinzione
tra Chiesa docente e discente: il compito di apprendere, insegnare e vigilare
sulla fede appartiene a tutti i fedeli, e il rispetto per singole figure
di monaci e chierici di particolare cultura e profondità non va
in alcun modo confuso con il rispetto per i membri del clero in quanto
celebranti dei Misteri di Cristo, o per i membri dell'ordine monastico
in quanto cristiani impegnati in una vita radicale dei principi evangelici.
Chiese sorelle
Una vasta polemica è stata sollevata in anni recenti
dall'uso sconsiderato del termine "Chiese sorelle", per indicare le realtà
ecclesiali cattolica romana e ortodossa alla ricerca di unità.
Per la mentalità ortodossa, la fratellanza significa
anche comunione nella stessa fede, e non solo condivisione di un cammino
di dialogo e di ricerca di unità. Le uniche chiese che un ortodosso
può in piena coscienza chiamare "sorelle" sono le diverse Chiese
autocefale dell'ecumene ortodosso, e anche queste, comunque, nella coscienza
che si tratta di realtà locali dell'unica Chiesa. Chiamare
"sorella" una comunione ecclesiale separata dalla Chiesa Ortodossa equivale
a un cedimento rispetto alla confessione della Chiesa Una, e a un tradimento
del Simbolo di fede.
Allo stesso modo, gli ortodossi avvertono improprietà
nell'uso del termine "Chiesa indivisa" per indicare l'ecumene cristiano
del primo millennio (il termine dovrebbe presupporre l'esistenza di una
"Chiesa divisa" nei secoli successivi, affermazione che è in contraddizione
con la fede proclamata nel Credo).
Una terminologia ben più appropriata sarebbe quella
relativa ai "cristiani divisi", o alla fratellanza tra i medesimi, nella
ricerca dell'unità di fede.
Clero sposato
Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha chiamato al servizio
ministeriale, oltre ai celibi, anche gli uomini sposati. Quando la disciplina
del matrimonio fu fissata nei Concili di Ancira (314), Nicea (325), Gangra
(c. 350) e nel Concilio Trullano del 692, fu rispettata questa tradizione,
con la riserva di scegliere i vescovi tra gli uomini che avessero pronunciato
i voti monastici (in questi casi, se l'eletto all'episcopato era sposato,
il matrimonio veniva sospeso, ed entrambi i coniugi entravano nella vita
monastica). Non era invece ammesso un matrimonio dopo l'ordinazione, e
se un membro del clero rimasto vedovo desiderava risposarsi, doveva accettare
la riduzione allo stato laicale.
La Chiesa ortodossa segue tuttora questa tradizione,
senza alcuna modifica. Riteniamo opportuno correggere il luogo comune che
parla di "preti che si sposano" nelle Chiese ortodosse: esistono preti
sposati, ma non preti che si sposano (a meno di venire ridotti allo stato
laicale).
Inoltre, è bene ricordare che nella Chiesa ortodossa
i preti e diaconi sposati sono tenuti a offrire nella loro vita matrimoniale
una immagine rigorosa e ideale del sacramento nuziale. Pertanto, non può
essere ordinato agli Ordini maggiori un uomo che abbia sposato una divorziata
o una vedova, o che abbia contratto un secondo matrimonio.
In Occidente, il Concilio di Elvira, in Spagna (306),
proibì a preti e diaconi di vivere con le proprie mogli dopo l'ordinazione.
Nonostante questa innovazione fosse stata condannata dal Concilio Trullano,
ebbe inizio una serie di iniziative, mai del tutto riuscite, per imporre
il celibato sacerdotale (l'imposizione lasciava purtroppo mano libera al
concubinato), finché i primi due Concili Lateranensi (1123 e 1139)
lo imposero con validità universale. Papa Alessandro III, nel 1180,
impose il celibato anche ai diaconi, ma in anni recenti ai diaconi permanenti
della Chiesa cattolica romana è stato restituito il diritto di essere
ordinati nello stato coniugale.
Per le Chiese orientali unite a Roma, la tendenza generale
è quella di rispettare le tradizioni di provenienza, ma talvolta
queste sono state drasticamente ignorate (un esempio è la forzatura
del celibato sui sacerdoti cattolici orientali al di fuori dei loro territori
storici d'origine: una prassi che causò il ritorno di molti di loro
all'Ortodossia, tra cui intere diocesi in America).
La disciplina cattolico-romana sul celibato sacerdotale,
per quanto venga giustificata con ottime ragioni, soprattutto pastorali,
presenta troppi "strappi" e cambiamenti perché gli ortodossi la
possano ritenere conforme alla tradizione della Chiesa.
Comunione chiusa
Anche se un cristiano non ortodosso interamente tagliato
fuori dai ministri della propria Chiesa può, in casi particolari
(persecuzioni, pericolo di morte, isolamento geografico...) essere ammesso
con permesso speciale a ricevere la Santa Comunione nella Chiesa
ortodossa, non si applica in alcun modo il contrario: agli ortodossi è
proibito essere ammessi alla comunione eucaristica per mano di sacerdoti
non ortodossi. Nella sua apparente durezza (per la quale gli ortodossi
vengono facilmente criticati), questa norma è profondamente in linea
con la fede della Chiesa. Comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo significa
anche confessare che nella Chiesa in cui ci si comunica esiste la pienezza
della fede apostolica. Significa inoltre, di fatto, diventare membri
di detta Chiesa a pieno titolo, abbracciandone l'etica, i regolamenti
e la disciplina. Alla luce di queste considerazioni si può capire
non solo l'assoluto divieto di comunicarsi presso ministri non ortodossi,
ma anche la reticenza dei sacerdoti ortodossi a comunicare cristiani di
altre comunioni (è un gesto di rispetto della loro libertà
religiosa, un rifiuto di cooptarli in modo poco pulito nel numero dei propri
fedeli).
L'atteggiamento della Chiesa cattolica romana, che permette
con maggiore larghezza ai propri fedeli di ricevere certi sacramenti in
altre Chiese, nelle quali essa non riconosce esplicitamente la pienezza
della fede cristiana (canone 844 del Codice di Diritto Canonico del 1983),
è visto dagli ortodossi come un cedimento a un relativismo ecclesiologico
non diverso da quello della maggior parte delle Chiese protestanti.
Comunione sotto le due specie
Mentre la tradizione liturgica latina ha sottratto il
calice ai laici dall'Alto Medioevo fino al periodo seguente al Vaticano
II, la Chiesa ortodossa ha sempre mantenuto, in conformità alle
istruzioni di Cristo (Mt 26,27: "Bevetene tutti"), la comunione sotto le
due specie. Il Corpo e il Sangue di Cristo, mescolati nel calice, vengono
solitamente amministrati ai fedeli mediante un cucchiaio. Anche le particole
che sono conservate per la comunione dei malati vengono intinte nel vino
consacrato prima di essere custodite nei tabernacoli.
Solo nella Liturgia di San Giacomo, il più antico
rito eucaristico tuttora celebrato dagli ortodossi, gli elementi eucaristici
vengono distribuiti separatamente, ma in ogni caso i fedeli partecipano
sia dell'uno che dell'altro.
La quantità degli elementi non è
importante (ai bambini non ancora svezzati può essere amministrato,
in un cucchiaino, un frammento estremamente piccolo del pane eucaristico),
ma rimane importante la partecipazione a entrambi.
Un paragone simbolico può servire a riportare
l'attenzione all'importanza di questo dettame della Chiesa ortodossa: un
corpo senza sangue è, per definizione, un corpo privo di vita.
Concili di riunione
Le aspirazioni ecumeniche cattolico-romane ripropongono
regolarmente le soluzioni di unione con l'Oriente che furono tentate con
i Concili di Lione (1274) e di Ferrara-Firenze (1438-39). Le formule di
questi ultimi (ritenuti Concili Ecumenici dal Cattolicesimo romano) furono
vigorosamente respinte dall'ecumene ortodosso, e la loro rivisitazione
in chiave contemporanea sembra portare a scontati risultati negativi.
Il problema con le formule di unione di Lione e Firenze
è che queste costituiscono una non-soluzione, dal punto di vista
dell'unità di fede. Le loro conclusioni - che entrambe le parti
possono mantenere le rispettive differenze dottrinali e rituali in una
reciproca legittimazione - sono per l'Ortodossia una rinuncia alla professione
di una fede unica.
Una proposta più interessante per gli ortodossi
sembra quella di lavorare per un'unione sulla base del Concilio di Costantinopoli
dell'879-880, tenuto sotto il Papa Giovanni VIII e il Patriarca Fozio.
Questo concilio, che rovesciò le decisioni del concilio "ignaziano"
o "anti-foziano" dell'869 (ritenuto oggi dai cattolici romani l'Ottavo
Concilio Ecumenico), resta l'ultimo concilio in cui si testimoniò
la comune fede ortodossa dell'Occidente e dell'Oriente. Esso riconobbe
Roma e Costantinopoli come supreme nella propria sfera, senza alcuna "giurisdizione
romana" su Costantinopoli. Ripudiò unanimemente il filioque
(q.v.), e portò alla completa reintegrazione di San Fozio nel suo
ruolo patriarcale.
Questo concilio presenta dei problemi agli occhi degli
apologeti romani. L'Occidente considerò questo concilio, se non
come ecumenico, per lo meno come un sinodo autorevole approvato da Roma.
L'Oriente lo vide come ecumenico, poiché vi concorsero tutti i criteri
presenti nei concili precedenti: convocazione imperiale e presenza di tutti
e cinque i patriarcati maggiori. Gli atti di questo concilio seguono sempre
gli atti degli altri Sette nelle collezioni ortodosse di diritto canonico.
Per due secoli, il concilio dell'869-870 espresse la fede comune di Roma
e dell'Oriente.
Non fu che con la Riforma gregoriana che le cose cambiarono
di nuovo in Occidente. Il concilio "ignaziano" fu riconosciuto come il
vero Ottavo Concilio Ecumenico. Nessuna giustificazione fu mai addotta
da Roma per spiegare questa soluzione di continuità. Ovviamente,
anche le tavole d'argento con il Credo comune (senza filioque),
appese a Roma in San Pietro, caddero dalla loro sede, e con loro cadde
simbolicamente la fede comune dell'Oriente e dell'Occidente cristiano.
Purtroppo, l'esito finale del concilio dell'869-870,
con il mutamento di riconoscimento dopo due secoli di accettazione, non
rassicura troppo l'Oriente sulle pretese romane di stabilità dottrinale.
Concilio ecumenico: quali requisiti?
Perché si possa parlare di Concilio ecumenico,
la Chiesa ortodossa richiede la presenza di una minaccia attuale alla fede
della Chiesa, che viene difesa attraverso una definizione conciliare. Numerosi
concili che la Chiesa cattolica romana considera ecumenici (Costantinopoli
IV, Laterano II, Lione I, Costanza, e lo stesso Vaticano II) presentano
difficoltà in questo campo, per la loro enfasi politico-amministrativa
o pastorale. La coscienza ortodossa tenderebbe piuttosto a iscrivere questi
concili nella linea della tendenza latina allo sviluppo dogmatico (q.v.).
Una chiara valutazione del valore dei concili ritenuti ecumenici da Roma
(due terzi non sono condivisi dall'Ortodossia) è indispensabile
sulla via della ricerca di un'unità di fede.
Confessione
Il sacramento della penitenza, le cui modalità
non sono state codificate in modo immutabile (dalle forme antiche di confessione
pubblica si è passati gradualmente alla confessione auricolare privata),
ha seguito un percorso diverso nel mondo ortodosso e cattolico romano.
Nella prassi ortodossa, la presenza invisibile di Cristo
(vero fulcro di un legame triangolare di cui il prete e il penitente non
sono il vertice principale) è manifestata dalla presenza di un'icona
di Cristo; ciò viene ulteriormente sottolineato dalla posizione
del prete e del penitente, entrambi seduti (usanza greca) o entrambi in
piedi (usanza russa) di fronte all'icona del Salvatore.
Il mondo cattolico romano ha sviluppato il confessionale
a grata, nella ricerca di una via di discrezione e di raccoglimento nella
confessione; pur riuscendo a raggiungere tali scopi, ha tuttavia reso difficile
vedere la presenza simbolica di Cristo, e ha fatto uscire di proporzione
il ruolo del prete rispetto a quello del penitente.
Parallelamente a queste innovazioni, principi di uno
spiccato giuridismo (q.v.) hanno teso a trasformare il confessore in un
"direttore delle coscienze", piuttosto che un testimone di fronte a Cristo
della confessione di un altro peccatore.
Decanonizzazioni
La Chiesa ortodossa, non avendo una procedura "centralizzata"
e inappellabile per la canonizzazione dei santi, ammette in linea di principio
che il giudizio di canonizzazione non sia infallibile. Può capitare
pertanto che la Chiesa tolga dall'albo dei santi certi nomi, e che eventualmente
ve li rimetta, senza che questo crei scandalo tra i fedeli. (È una
prassi di fatto accaduta all'imperatore Costantino, sospettato di arianesimo,
e alla principessa russa Anna di Kashin, sospettata di aver appartenuto
allo scisma dei Vecchi Credenti, entrambi tolti dall'albo dei santi e in
seguito ricanonizzati).
La Chiesa cattolica romana, al contrario, sostiene che
la canonizzazione sia un atto irreformabile, in quanto giudizio solenne
che impegna la Chiesa. Gli ortodossi non sanno se essere più sconcertati
per questo rigorismo inappellabile, o per certe flagranti contraddizioni
in cui lo stesso Cattolicesimo romano è caduto, ammettendo di fatto
numerose decanonizzazioni.
Tra i santi decanonizzati dalla Chiesa romana per ragioni
di ortodossia teologica, citiamo due casi: San Clemente Alessandrino, festeggiato
il 4 Dicembre, fu radiato nel 1586 dal Martirologio Romano da Papa
Sisto V, su istanza del Cardinale Baronio, per sospetti di origenismo;
Papa Urbano V (1362-1370) fa ancora riferimento in una delle sue bolle
a San Giovanni Cassiano, in seguito radiato dall'albo dei santi
sotto accusa di semipelagianesimo.
Una decanonizzazione che è parsa particolarmente
offensiva agli ortodossi (per i quali equivale a uno sfregio alla tradizione),
è la recente esclusione dall'albo cattolico romano dei santi di
figure sulla cui storicità sono stati espressi dubbi (a cominciare
da San Giorgio e Santa Barbara, due delle figure più venerate del
cristianesimo).
Devozione al Sacro Cuore
In profonda armonia con lo spirito del Concilio di Calcedonia
(culto unico di Cristo nella sua divinità e umanità), l'Ortodossia
ha sempre mantenuto un senso globale nell'adorazione di Cristo, e anche
oggi gli ortodossi si sentono estranei alle forme di culto di qualche parte
distinta del suo essere, o di una delle sue nature separata dall'altra.
L'esempio più clamoroso di tali forme di culto
è la devozione cattolico-romana al Sacro Cuore di Gesù (una
pratica sviluppatasi alla fine del XVII secolo dalle rivelazioni della
mistica francese Margherita Maria Alacoque).
Anche se per "cuore" intendiamo l'ardente amore del Salvatore
per gli uomini, pure non esiste, nell'Antico e nel Nuovo Testamento e nella
tradizione dei Padri, l'usanza di adorare separatamente l'amore di Dio
(o la sua sapienza, provvidenza, santità, o altri aspetti separati),
tanto meno usandone come simbolo una parte del corpo.
L'Ortodossia vede qualcosa di innaturale nella separazione
del cuore dalla natura corporea generale del Signore a scopo di preghiera
e contrizione di fronte a Lui. Anche nell'amore più spontaneo e
immediato, come quello materno, non ci si riferisce mai al cuore della
persona amata, ma sempre alla persona stessa, in modo globale.
Gli stessi commenti possono valere riguardo a forme simili
di devozione (per esempio, quella al Cuore Immacolato di Maria), profondamente
sentite nel mondo cattolico romano.
Devozioni medioevali
Le usanze e le pratiche devozionali del mondo ortodosso
attuale hanno mantenuto una notevole continuità con quelle del primo
millennio. Non così si può dire del mondo della pietà
cattolica romana, che subì una vera e propria rivoluzione intorno
al dodicesimo secolo. Con lo spostamento dell'attenzione dalla nostra redenzione
per mezzo della Risurrezione del Signore a un'enfasi sulla Passione del
Signore, fu introdotto nel culto e nella devozione privata un elemento
simbolico di amore carnale. Si giunse a considerare il Signore come compagno,
amico o perfino marito/amante, come si vede nelle immagini matrimoniali
introdotte nella professione monastica (q.v.) delle donne in Occidente.
Tra le manifestazioni di questo nuovo approccio a Cristo vi sono la festa
del Santo Nome, devozioni speciali alle Cinque Piaghe di Cristo, le stazioni
della Via Crucis, le meditazioni assegnate alle decadi del rosario, il
presepio di Natale e la devozione al "Bambino Gesù" in generale,
nonché la devozione al Sacro Cuore di Gesù (q.v.). L'Ortodossia
ha mantenuto un approccio devozionale al Signore molto più sobrio
e obiettivo, cercando di evitare la sensualità, la sentimentalità
e l'emotività.
Diaconato permanente
Rimanendo fedele alla tripartizione del ministero sacerdotale
(diaconi, presbiteri e vescovi), la Chiesa ortodossa ha sempre giudicato
opportuno che i diaconi possano restare nel loro stato, se tale è
il loro desiderio, anche per tutta la vita; ciò si giustifica con
la ricchezza e la complessità del ruolo del diacono nelle funzioni
sacre ortodosse (nella Divina Liturgia, per esempio, le parti riservate
ai diaconi sono preponderanti, e costituiscono un legame ideale tra fedeli,
coro e sacerdote).
Nel mondo cattolico romano, con l'assottigliarsi delle
funzioni del diacono nei riti, il diaconato è gradualmente divenuto,
fino ai tempi del Concilio Vaticano Secondo, un periodo di "apprendistato"
al sacerdozio, solitamente della durata di un anno.
La recente riaffermazione di un diaconato permanente
nella Chiesa cattolica romana manifesta un lodevole desiderio di ridare
al diaconato un ruolo di dignità e di importanza nella Chiesa. Gli
Ortodossi vedono anche con favore la reintroduzione, nel diaconato permanente
romano, della prassi del clero sposato. Visto che tali regole permettono
l'ordinazione di uomini sposati al diaconato, ma non al sacerdozio, resta
tuttavia l'interrogativo su quanti degli attuali "diaconi permanenti" rimarrebbero
tali se si aprissero loro le porte dell'ordinazione presbiterale.
Diaconesse
La diaconessa, figura presente nelle comunità
cristiane del Nuovo Testamento, è un tipo di ministero femminile
che ebbe una certa importanza nei primi secoli della cristianità,
finché le sue funzioni (che non corrispondevano a quelle liturgiche
e ministeriali del diacono) furono gradualmente assorbite dagli ordini
monastici femminili. Per la verità, le tracce storiche di presenza
di diaconesse sono enormemente più frequenti nelle chiese dell'Oriente
cristiano che in quelle occidentali.
Nella Chiesa cattolica romana, a grandi linee, si può
escludere la presenza di diaconesse per tutto il secondo millennio, e anche
se si è parlato di una possibile rivalutazione di questo ministero,
non si è ancora deciso nulla a proposito.
Nelle Chiese ortodosse, invece, si sono avuti ancora
fino ai nostri giorni casi di ammissioni di diaconesse, benché troppo
rari per poter parlare di un costume fisso. Ricordiamo i casi di Madre
Maria Tuchkova in Russia nel diciannovesimo secolo, e le monache greche
ordinate da San Nettario di Egina alcuni decenni dopo: tuttora si ha sentore
di ordinazioni sporadiche di diaconesse, ma per lo più monache,
e il loro ministero è confinato nei propri monasteri.
Una ulteriore rivalutazione ed estensione del ruolo della
diaconessa, nell'Ortodossia, non avrebbe in linea di massima alcun ostacolo
canonico, e sarebbe soggetta unicamente all'approvazione dei fedeli.
Digiuno e astinenza
Già nell'anno 867 San Fozio, patriarca di Costantinopoli,
lamentava l'introduzione di deviazioni della prassi del digiuno operate
dalla Chiesa romana, e imposte dai missionari latini: l'usanza di digiunare
anche il sabato, e la concessione di cibarsi di latticini nella prima settimana
di quaresima. (Provvedimenti, quindi, talvolta più rigorosi e talvolta
più permissivi, ma in ogni caso deviazioni dalla prassi della Chiesa
antica). Ma le deviazioni sarebbero aumentate ancora di più dopo
lo scisma.
Gli odierni residui delle antiche astinenze alimentari
tuttora rimasti nella chiesa cattolica romana si limitano al divieto della
carne in alcuni giorni particolari della quaresima. Nei periodi di digiuno
degli ortodossi (che corrispondono a più della metà dei giorni
dell'anno), è rimasto invece l'antico divieto di cibarsi, oltre
che della carne, anche di pesce, uova, latte e latticini, vino e olio.
Per gli ortodossi, a differenza dei cattolici romani,
rimane in vigore il divieto di consumare sangue, in conformità con
il dettame del Concilio apostolico di Gerusalemme, citato in At 15,20.
In alcuni casi (che variano a seconda di usi nazionali
e locali) l'astinenza viene lievemente mitigata in ricorrenze speciali,
ma si tratta comunque, anche da un punto di vista meramente quantitativo,
di una attitudine verso il digiuno molto più rigorosa di quella
cattolico-romana.
Inoltre, nell'Ortodossia digiunano tutti, non
solo i monaci, con un fervore e una disciplina che provocano spesso stupore
nei cattolici romani, abituati a vedere lo stesso rigore solo nei più
severi ordini religiosi.
In generale, si può dire che questo enorme divario
di prassi ascetica rifletta due tendenze del tutto differenti di considerare
il mondo e il cammino di santificazione: il Cattolicesimo romano si è
gradualmente diretto verso un progressivo adattamento a questo mondo e
alla sua mentalità (ritenendolo, indubbiamente, una misura di generosità
della Chiesa nei confronti dei propri figli); l'Ortodossia, invece, pur
consapevole della difficoltà di mantenere severe prescrizioni ascetiche
nel presente oceano di mondanità, non si sente autorizzata a sminuire
i suoi modelli etici. Questi sono infatti modelli di santità,
ai quali i fedeli ortodossi sanno di essere sempre e immancabilmente chiamati.
Digiuno eucaristico
Come per i periodi di digiuno quaresimale, si è
visto nella Chiesa cattolica romana un progressivo indebolimento del senso
del digiuno prima di ricevere la santa Comunione. Con le recenti riforme
il digiuno eucaristico si è ridotto a una singola ora di astinenza
dai cibi e bevande, eccettuata l'acqua.
Nella Chiesa ortodossa, dove l'antica pratica è
invece rimasta immutata, per chi desidera comunicarsi nulla può
essere mangiato o bevuto dal momento del risveglio al mattino. Nel caso
di Liturgie vespertine (permesse dalle rubriche ortodosse solo quando la
Liturgia si fonde con il Vespro, in 4 occasioni di vigilie di grandi feste,
e nelle Liturgie dei Presantificati in alcuni giorni della Grande Quaresima),
il periodo di digiuno totale prima di comunicarsi è lo stesso, ma
in certi casi viene tollerato un digiuno di sei ore.
Non sono infrequenti, nel mondo ortodosso, casi di fedeli
particolarmente devoti, che prima di comunicarsi osservano anche uno o
più giorni di digiuno totale.
Diritto canonico
Comprendendo nel suo seno popoli con tradizioni giuridiche
molto diversificate, la Chiesa ortodossa non ha, a differenza di quella
cattolica romana, un testo di diritto canonico unificato. Eppure, come
per i libri liturgici (q.v.), esiste una ricca serie di collezioni di canoni,
tra le quali emerge il Pedalion (timone) di San Nicodemo l'Agiorita,
pubblicato nel 1800.
Si considerano normative per l'Ortodossia le collezioni
canoniche dell'epoca dei sette Concili Ecumenici del primo millennio, nonché
l'ampia raccolta del Concilio Quinisesto o Trullano, che è la più
antica codificazione estesa del diritto canonico ortodosso.
L'ignoranza del diritto canonico ortodosso ha fatto spesso
pensare, in Occidente, a un'Ortodossia "priva di regole". In realtà,
le regole sono abbondanti e spesso di grande strettezza e rigore, anche
se modellate su situazioni e necessità locali.
La recente promulgazione (1990) di un testo unico di
diritto canonico per le chiese cattoliche di rito orientale è vista
quanto meno con perplessità dagli ortodossi, che si chiedono come
un'unica normativa uniforme possa adattarsi alle diverse usanze e situazioni
storiche dei popoli cristiani dell'Oriente (una situazione aggravata dal
fatto che il mondo cattolico orientale comprende Chiese di diversa origine,
come quelle uscite dal mondo non calcedoniano).
Divorzio e secondo matrimonio
Si dice talvolta, in ambienti cattolici romani, che la
Chiesa ortodossa tollera il divorzio: l'affermazione è alquanto
gratuita, soprattutto in un'epoca in cui, parlando di divorzio, si pensa
subito all'istituzione giuridica moderna. In realtà l'Ortodossia
non è affatto "divorzista": essa fa proprie le parole di Gesù
sul ripudio (in quanto atto unilaterale e umano di scioglimento di un legame
divino). Tuttavia, come misura di economia (dispensazione) e filantropia
(amorevolezza), basandosi sul fatto che Cristo stesso permise un'eccezione
(Mt. 19,9) al suo rifiuto del ripudio, la Chiesa ortodossa è disposta
a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia
stato sciolto dalla Chiesa (non dallo Stato!), in base al potere
dato alla Chiesa di sciogliere e legare, e concedendo una seconda opportunità
in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato,
ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia
divenuto una finzione). È prevista (per quanto scoraggiata) anche
la possibilità di un terzo matrimonio, mentre è in ogni caso
proibito un quarto (gli antichi canoni che proibivano in ogni caso un quarto
matrimonio non sono più rispettati nel cattolicesimo romano). Inoltre,
la possibilità di accedere alle seconde nozze in casi di scioglimento
del matrimonio viene concessa solo al coniuge innocente.
Le seconde (e terze) nozze, a differenza del primo matrimonio,
sono celebrate con un rito speciale, di carattere penitenziale (il cui
principio è il riconoscimento di una situazione di fallimento),
che contiene una preghiera di assoluzione (la prassi cattolica romana non
prevede una identificazione liturgica delle seconde nozze). Poiché
nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell'incoronazione
degli sposi (che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del
matrimonio), esiste una giustificazione teologica nel dire che le seconde
nozze non sono un vero sacramento, ma tutt'al più, per usare la
terminologia latina, un sacramentale, che consente ai nuovi sposi di considerare
la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale.
Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti
vedovi, e questo consente di dire che l'Ortodossia, in linea di principio
(e a differenza del Cattolicesimo romano) permette un solo vero matrimonio
sacramentale in tutta la vita.
"Due polmoni"
Il paragone che vede nell'Occidente e nell'Oriente i
due polmoni del mondo cristiano, che pur nella loro distinzione respirano
la stessa aria dello Spirito, proviene dalla stessa Sede romana, ed è
frequentemente usato come paradigma di apertura ecumenica.
Forse la scelta della metafora biologica sarebbe stata
fatta in modo diverso, se si fosse avuto sott'occhio lo stesso paragone
fatto nel contesto ortodosso da San Teofane il Recluso nella sua omelia
di Pentecoste del 1860. Ne riproduciamo il passo in questione, lasciando
ai lettori ogni eventuale commento.
"Ciò avviene perché in una parte dell'umanità
gli organi della respirazione sono danneggiati, e un'altra pare, una parte
ampia, non è neppure esposta all'influenza di questo soffio salutare.
Perché la respirazione abbia il suo pieno effetto sul corpo, infatti,
è necessario che tutti i condotti dei polmoni siano integri e privi
di ostruzioni. Allo stesso modo, perché lo Spirito Divino manifesti
il suo pieno effetto, è necessario che siano integri gli organi
che Egli stesso ha stabilito per la propria acquisizione; vale a dire,
i Divini Misteri e i riti religiosi dovrebbero essere preservati esattamente
così come vennero stabiliti dai Santi Apostoli, guidati dallo Spirito
di Dio. Laddove questi riti sono danneggiati, il soffio dello Spirito Divino
non è pieno; di conseguenza, manca del pieno effetto. In questo
modo tutti i misteri papisti [papistov nel testo originale] sono
danneggiati, e molti riti religiosi salvifici sono pervertiti. Il Papato
ha polmoni incrostati e infetti."
Durata della Liturgia
Una delle caratteristiche che qualificano la Liturgia
bizantina (e, in generale, tutto l'insieme dei riti sacri ortodossi) rispetto
alla Messa romana è la sua maggiore lunghezza. In particolare, coloro
che non vi sono abituati restano colpiti dalla frequente reiterazione delle
preghiere pubbliche in forma di litania.
Anche se la maggiore lunghezza non è esagerata
(a livello parrocchiale, una Liturgia domenicale non dura di solito oltre
un'ora e mezza), essa contribuisce a dare un carattere di "atemporalità"
alle funzioni, più consona allo spirito della celebrazione festiva.
Epiclesi eucaristica
Nel rito eucaristico della Chiesa ortodossa, un momento
fondamentale è costituito dall'epiclesi, ovvero dall'invocazione
dello Spirito Santo sui Santi doni, perché li trasformi nel Corpo
e nel Sangue di Cristo. Questo momento dell'epiclesi è presente
anche in molti altri momenti del culto ortodosso, tipicamente quando la
Chiesa vuole sottolineare che certi effetti misteriosi non avvengono per
volontà umana, ma per intervento di Dio.
Anche se la epiclesi non viene considerata l'unico fattore
che determina la consacrazione eucaristica, nondimeno la teologia ortodossa
riterrebbe priva di validità un'Eucaristia celebrata senza l'invocazione,
almeno implicita, dello Spirito.
Inoltre, per la Chiesa ortodossa è la preghiera
dell'epiclesi (recitata dopo le parole di istituzione) a perfezionare
la trasformazione eucaristica: La Liturgia di San Giovanni Crisostomo,
a questo proposito, è inequivocabile: "...e fa' di questo PANE il
prezioso Corpo del tuo Cristo".
Per la teologia cattolico-romana, il momento della consacrazione
è costituito dalle parole di istituzione ("questo è il mio
corpo" e "questo è il mio sangue"), e la formula di epiclesi viene
di solito considerata secondaria.
Prima del Concilio Vaticano II, il Canone eucaristico
romano non conteneva una epiclesi esplicita; molti liturgisti ortodossi,
tra cui il celebre Nicola Cabasilas, indicarono tuttavia nel paragrafo
Supplices Te rogamus... una forma implicita di invocazione dello
Spirito.
È significativo, inoltre, che negli antichi canoni
eucaristici, l'epiclesi fosse sempre posta dopo le parole di istituzione,
per indicare il culmine del processo di consacrazione. Così è
tuttora nella liturgia bizantina, e così era nel rito latino per
quanto riguarda il Supplices Te rogamus. Un fatto curioso del rito
eucaristico romano post-conciliare è che l'antica Anafora di Ippolito
(divenuta la Preghiera Eucaristica II) abbia subito una traslazione dell'epiclesi
da dopo le parole di istituzione a prima, in una posizione
più "neutrale".
L'insistenza cattolico-romana sulle parole di istituzione
non sembra peraltro giustificata in tutto l'ecumene cristiano: una delle
antiche liturgie siriache, l'Anafora di Addai e Mari (tuttora in uso presso
le chiese sire), è addirittura priva delle parole di istituzione.
Espiazione vicaria
Dalla scuola di Anselmo di Aosta (e, in origine, dalla
concezione agostiniana del peccato originale ereditario) è pervenuta
al Cattolicesimo romano una comprensione della Crocifissione come pagamento
di una punizione, un "riscatto" che Cristo soffrì al posto del genere
umano, costretto alla schiavitù al male per virtù del peccato
originale.
L'Ortodossia ha una visione assai differente della sofferenza
di Cristo e della sua morte sulla Croce: queste ebbero come fine la sconfitta
del diavolo e la distruzione del suo potere, la morte (in questo caso,
l'unico "riscatto" è quello pagato alla tomba). L'umanità
partecipa al riscatto dal diavolo e dalla morte attraverso la padronanza
sulle passioni: le sofferenze salvatrici di Cristo vengono così
inserite in una cornice di preghiera, pubblica e privata, digiuno (rinnegamento
di sé) e obbedienza volontaria, di cui il monachesimo è l'espressione
più evidente.
La visione occidentale dell'espiazione vicaria portò
a notevoli mutamenti di percorso, con l'introduzione di elementi quali
la punizione ecclesiastica dei peccati, le opere supererogatorie, e tutta
la cornice giuridica del Purgatorio (q.v.).
Tutto l'edificio teologico del peccato originale e dell'espiazione
vicaria (con la sua assoluta necessità di una soddisfazione infinita
per un'offesa, e la sua concezione tutto sommato mondana e passionale di
giustizia, quasi riconducibile alla vendetta) mette in serio dubbio la
bontà di Dio. Può anche essere visto come un pericoloso sintomo
di ritorno al paganesimo, con la necessità dell'Incarnazione pari
alla Necessità che regolava gli atti degli dèi.
Essenza ed Energie
I Padri della Chiesa, di fronte al problema della conoscibilità
di Dio, furono molto attenti a distinguere tra un'essenza inconoscibile
di Dio (che salvaguarda la sua differenza ontologica con l'uomo e il resto
del creato) e le sue energie divine (increate, e fonte della comunicazione
di Dio all'uomo). La distinzione tra essenza ed energie è uno degli
insegnamenti più profondi dei Santi Padri sulla deificazione dell'uomo,
e offre una spiegazione sulla natura della visione di Dio e delle esperienze
spirituali.
Tale insegnamento fu rigettato dalla scolastica occidentale,
che fece propria una dottrina della "visione dell'essenza divina" che Padri
del calibro di San Basilio e San Giovanni Crisostomo avrebbero definito
una bestemmia.
Nonostante recenti rivalutazioni della teologia patristica
in materia di essenza ed energie, ancora nel recente Catechismo della
Chiesa Cattolica (§ 1023), lo stato di beatitudine è chiamato
"visione dell'essenza divina".
Fede e Ragione
Seguendo i Santi Padri, l'Ortodossia si serve scienza
e filosofia per difendere e spiegare la propria fede, ma senza cercare
di riconciliare fede e ragione, o di provare la fede con la logica e la
scienza: in questa attitudine, essa vedrebbe piuttosto un pericolo di cambiamenti
di fede nel tentativo di adeguamento ai processi intellettuali del tempo.
Dal periodo della scolastica (q.v.) in poi, il rispetto per la ragione
umana ha portato i cattolicesimo romano a profondi ridimensionamenti in
campo di teologia, sacramenti, e istituzioni ecclesiastiche.
Il Cattolicesimo romano insegna che la ragione può
provare l'esistenza di Dio, e anche dedurne i suoi attributi (eternità,
bontà, incorporeità, onnipotenza, onniscienza...); l'Ortodossia
ritiene piuttosto che la conoscenza di Dio sia impiantata nella natura
umana; salvo un intervento di Dio, la ragione umana non può scoprire
altro.
Il classico detto della teologia romana "potuit, decuit,
ergo fecit" (Dio ha il potere di fare qualcosa, Dio l'avrebbe voluta fare,
e perciò Dio l'ha fatta), se viene preso come misura di come e quando
Dio interviene nella storia, pone il teologo latino nella situazione impossibile
di giudicare e dedurre quando Dio ha desiderato che una certa cosa accadesse.
In questo caso l'infallibilità papale (q.v.) si rende necessaria
per dirimere le controversie di ipotesi e spiegazioni contraddittorie.
L'importanza della ragione, che sta alla base del senso
dello sviluppo dogmatico (q.v.), deriva (o piuttosto è sostenuta)
dalla particolare antropologia del Cattolicesimo romano: questa asserisce
che, di tutte le facoltà umane, la ragione sia la meno coinvolta
nella caduta dell'uomo. L'Ortodossia ritiene invece che la ragione sia
intaccata dalla caduta allo stesso modo di tutte le altre facoltà
umane.
Festività alterate
La Chiesa cattolica romana ha spostato, o "sdoppiato",
alcune delle grandi festività dell'anno liturgico. Per esempio,
il Battesimo del Signore, anticamente celebrato il 6 Gennaio, festa della
Teofania o Epifania (vale a dire, manifestazione divina) viene oggi celebrato
la domenica successiva. La Domenica della Trinità, divenuta festa
a parte, un tempo formava un'unica festività con la Domenica di
Pentecoste, e così via.
Nel rimanere fedele alle antiche festività, l'Ortodossia
vuole anche insistere sul loro significato teologico, e teme che il loro
senso venga indebolito o perduto con ripetizioni e spostamenti. Offriamo
qui di seguito alcuni esempi esplicativi:
- L'adorazione dei Magi è collegata alla Natività
del Signore, sia nella narrazione evangelica che nella comprensione della
Chiesa ortodossa (come si può notare nella celebrazione del Natale
ortodosso). Lo spostamento di questo evento alla festa dell'Epifania non
solo crea una separazione artificiosa nel contesto della Natività,
ma indebolisce l'idea stessa della manifestazione divina, derubandola dell'immagine
della manifestazione della Trinità al battesimo nel Giordano.
- L'adozione da parte di tutta la cristianità
occidentale dei giorni 1 e 2 Novembre per celebrare tutti i Santi, e la
memoria dei defunti, proviene dall'antica chiesa irlandese. Questa pratica
era mirata a cristianizzare la festa druidica di Samhain, il giorno celebrato
con sacrifici pagani, in cui si credeva che le anime dei defunti tornassero
sulla terra. A parte ogni considerazione sulla riuscita di tale iniziativa
(il successo contemporaneo di Halloween nei paesi di lingua inglese può
far nascere qualche dubbio in proposito), l'adozione indifferenziata di
questo costume veramente locale per tutti i paesi cattolici di tradizione
non celtica sembra una vera forzatura. Per di più, veniva soppiantata
la pratica antica (tuttora osservata dagli ortodossi) di festeggiare tutti
i Santi la domenica successiva alla Pentecoste (cosa che rafforza il legame
logico tra la comunione dei Santi e lo Spirito "fonte di ogni santità"),
nonché l'antico costume di dedicare al ricordo dei defunti tutti
i giorni di Sabato, con l'introduzione di una "stagione dei morti" un po'
artificiosa.
- Gli eventi biblici che hanno sempre espresso la regalità
di Cristo sono l'Ingresso a Gerusalemme, l'Ascensione e, in modo paradossale,
l'iter della Passione. L'aggiunta di una nuova festa di Cristo Re, per
quanto bene intenzionata, separa l'idea astratta della regalità
di Cristo, quasi come una lode "politica" alla monarchia in sé,
collocando la regalità in un contesto isolato dalla storia della
salvezza.
Filioque
La Chiesa ortodossa mantiene inalterato il testo del
Credo promulgato dal Primo Concilio di Costantinopoli (381), e solennemente
ratificato dal Concilio di Efeso (431), che vietò (canone 7) di
modificarne il testo.
In Occidente, in contraddizione a questo divieto, fu
introdotta una clausola che resta tuttora uno dei punti fondamentali di
differenza tra Ortodossia e Cattolicesimo romano. La Chiesa spagnola, nel
Concilio di Toledo del 589, decise di introdurre, laddove il credo parla
dello Spirito Santo "... che procede dal Padre", la clausola "e dal Figlio"
(filioque). Lo scopo di questa inserzione era di contrastare l'eresia
ariana, che negava la divinità di Cristo. Asserendo che la processione
dello Spirito avveniva sia dal Padre che dal Figlio, si voleva insistere
sull'uguaglianza del Figlio e del Padre. Si veniva così a creare
una confusione tra la processione eterna dello Spirito (sulla quale
la Bibbia è categorica: "... lo Spirito di Verità, che procede
dal Padre": Gv 25,26) e la sua missione temporale, riguardo alla
quale anche l'Ortodossia non obietta che lo Spirito sia stato "inviato
nel mondo" dal Figlio.
In origine, la Chiesa di Roma fu contraria a questa innovazione
nel Credo, a favore della quale si schierarono invece i Franchi. Ancora
nell'anno 808, Papa Leone III, per resistere alle pressioni per la modifica
del Credo da parte di Carlo Magno, faceva affiggere in San Pietro, sulle
tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, due tavole di argento con il testo
originale del simbolo di fede.
La definitiva introduzione del filioque da parte
della Chiesa romana, su pressione carolingia, fu uno dei punti sui quali
si consumò lo scisma del 1054. Da allora, l'Ortodossia ha continuato
a rimproverare il Cattolicesimo romano su questo punto, non solo per il
"fratricidio morale" di avere cambiato unilateralmente la formulazione
della fede, ma anche perché gli ortodossi ritengono il filioque
teologicamente errato (il principio dell'unità nella Trinità,
per i Padri della Chiesa anteriori ad Agostino, è l'esistenza di
un solo Padre come fonte della vita trinitaria: facendo del Figlio una
fonte della Terza Persona della Trinità, si ammetterebbero due principi
primi).
Bisogna notare come il filioque sia per gli ortodossi
un punto di differenza essenziale, mentre non lo è per i
cattolici (la clausola compare nel Credo delle chiese cattoliche di rito
latino, ma non in quelle cattoliche di rito orientale).
La formula del concilio unionista di Ferrara-Firenze
(1438-1439) concedeva l'uso differenziato del Credo, con o senza il filioque,
a seconda del "rito" di appartenenza. Lungi dal ritenerlo un atto di misericordia
ecumenica, gli ortodossi ancor oggi considerano aberrante un simile atteggiamento:
come può una Chiesa, che si considera portatrice di una fede unica,
permettere al suo interno due formulazioni diverse della più solenne
proclamazione di questa fede?
Funzioni cantate
Nella Chiesa ortodossa, tutte le funzioni sacre vengono
cantate o intonate. Non esiste (come non è esistito nell'antichità
cristiana) l'equivalente eucaristico della "Messa Bassa" del Cattolicesimo
romano: tutta la Divina Liturgia, nelle sue parti "comuni" (vi sono anche
preghiere sacerdotali recitate a bassa voce, ma non pubblicamente), viene
cantata, anche nel caso che non vi fossero che il sacerdote e un singolo
lettore o cantore. Questa insistenza si appoggia in parte al valore assegnato
al canto dai Santi Padri, e ha permesso una continuità ininterrotta
di tradizione musicale sacra.
D'altra parte, la presenza della "Messa bassa" si giustifica
con l'introduzione medioevale delle celebrazioni multiple e simultanee
nella stessa chiesa, cosa che gli ortodossi ritengono una seria deviazione
dal principio dell'unicità della Liturgia (q.v.).
Funzioni "speciali"
La "diversificazione dei carismi", che ha portato nel
cattolicesimo romano alla nascita di così tanti ordini religiosi
(q.v), ha creato anche una forma di sviluppo di funzioni di culto dedicate
a singole categorie sociali, a singoli eventi, o a particolari richieste.
Tale sviluppo di forme particolari è andato ben oltre alla composizione
di singole preghiere, "contagiando" persino l'atto centrale del culto cristiano,
la Santa Eucaristia (si può pensare, come esempio evidente, alle
recenti "Messe per i giovani"). Questa non è un'innovazione contemporanea:
già le complesse regole che diversificano le Messe per i defunti
dalle altre celebrazioni eucaristiche permettono di tracciare tali tendenze
alla specializzazione fin nell'Alto Medioevo. La coscienza ortodossa, forse
in questo più "popolare", non si è mai spinta oltre all'inclusione
di alcune intenzioni di preghiera all'interno della Divina Liturgia. In
tal modo non si è perduta la centralità dell'Eucaristia,
che continua a parlare a ogni fedele e per ogni circostanza.
Giuridismo
Nella loro ricerca di una fede sincera e di una autentica
bontà, che vadano a fondo nell'anima, gli ortodossi non possono
sentirsi a casa propria vedendo il modo in cui il Cattolicesimo romano
disciplina l'uomo esteriore, con una catalogazione di azioni "di precetto",
"proibite", "permissibili", "perdonabili", "imperdonabili"; di peccati
"mortali", "gravi", "veniali"; e così via.
L'Ortodossia sottolinea sempre l'aspetto spirituale della
relazione tra l'anima e Dio, e tutti i sacramenti e la disciplina della
Chiesa sono ordinati al fine di ristabilire questa relazione nella sua
pienezza: la loro trasformazione in "leggi" nettamente definite e valide
per tutti è vista come un tentativo di sostituire, con la genialità
umana, una pienezza di grazia perduta.
Icone e sculture
Uno studio, per quanto sommario, dell'arte sacra della
chiesa ortodossa, rivela subito l'assenza di statue tra le immagini a uso
liturgico. Nelle chiese ortodosse si trova di norma una grande abbondanza
di immagini pittoriche (icone su tavole, affreschi, mosaici, intarsi, ricami),
ma non vi sono statue o immagini scolpite a tutto tondo (anche se non mancano
i bassorilievi, spesso eseguiti in legno). Questo uso appare in perfetta
coerenza con l'arte sacra del primo millennio cristiano, nel quale l'assenza
di sculture fu universale. Numerosi motivi spinsero i primi iconografi
cristiani a evitare l'uso delle statue: senza dubbio il timore di una identificazione
con il culto pagano (innumerevoli esempi attestano la venerazione di divinità
pagane attraverso le statue, mentre le immagini pittoriche non erano usate
a questo scopo), ma ancor più il rifiuto di modellare l'arte sacra
su criteri di realismo naturalistico.
In questo ambito ebbe anche un certo peso la fedeltà
al testo dei dieci comandamenti così come fu tramandato dai Padri
della Chiesa, e come è ancora in uso nella Chiesa ortodossa ("non
ti costruirai idoli, né alcuna scultura di ciò che
è in alto nel cielo, o che è sulla terra...").
Il medioevo latino ha ripreso l'uso delle statue per
scopi di arte religiosa, riuscendo forse ad attirare la devozione popolare
su oggetti più "tangibili", ma mondanizzando allo stesso tempo le
immagini sacre e la loro venerazione.
Le statue, a differenza delle icone, non possono essere
viste come un libro di teologia per chi non sa leggere (curiosamente, il
mondo ortodosso usa frequentemente il verbo "scrivere" per indicare la
creazione delle icone), ed è ben difficile vedere una statua come
una "finestra" su qualsivoglia realtà.
Una statua attrae (o piuttosto distrae) l'attenzione
su dimensioni fisiche, immaginative e romantiche: l'insegnamento ortodosso
ritiene che l'unica icona tridimensionale appropriata sia l'essere umano
vivente. L'Ortodossia non sostiene che le statue siano un male, ma solo
che non siano appropriate come oggetti di venerazione, così come
la musica ecclesiastica (q.v.) non si possa esprimere in modo appropriato
con strumenti musicali.
L'Ortodossia non è peraltro contraria alle statue
in un contesto non liturgico: la tradizione ortodossa ricorda una statua
di Cristo eretta da una delle persone da lui guarite (l'emorroissa) nella
città di Panas. Questa immagine, usata dagli ortodossi per sostenere
l'accuratezza delle immagini di Cristo nelle discussioni con gli iconoclasti,
ha tuttavia un mero valore di testimonianza storica.
Un altro paragone interessante si può fare a proposito
della concezione di grazia: l'icona riflette l'insegnamento ortodosso della
grazia increata e del suo impatto su tutta la creazione. La statua (che
normalmente non è oggetto di venerazione, ma supporto di meditazione),
riflette la teoria latina della grazia creata.
Immacolata Concezione
L'8 Dicembre 1854, con la bolla Ineffabilis Deus,
Papa Pio IX proclamò di propria autorità come dogma di fede
cattolica una dottrina mariologica controversa: "La beatissima Vergine
Maria, nel primo istante della sua concezione, per grazia speciale di Dio
onnipotente e per uno speciale privilegio, per anticipazione dei meriti
di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, fu preservata immune
da ogni macchia della colpa originale".
Di tale insegnamento non si ha alcuna traccia
prima del nono secolo, quando Pascasio Radberto, abate di Corvey, espresse
l'opinione che la Santa Vergine fosse stata concepita senza peccato originale.
Questa opinione era forse dettata dal desiderio di non associare Maria
alla visione agostiniana (particolarmente pessimistica) del peccato originale.
Prima di Pascasio Radberto, nessun teologo latino (neppure Agostino stesso)
aveva mai sostenuto che Maria fosse santa fin dalla concezione.
Il mondo latino medioevale fu profondamente diviso su
questo punto: Bernardo di Chiaravalle, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino,
e la scuola domenicana avversarono la dottrina dell'Immacolata concezione,
mentre Duns Scoto e la scuola francescana la sostennero e la propagarono.
Neppure il mondo dei mistici cattolico-romani portò una voce unita
sul tema: Brigida di Svezia e Caterina da Siena ebbero rispettivamente
una rivelazione favorevole e una contraria alla dottrina. Fu solo nel 1475
che un papa (Sisto IV) approvò una funzione di culto che insegnava
esplicitamente l'Immacolata concezione, pur senza renderla un articolo
vincolante di fede. L'uso liturgico e il patrocinio papale favorirono la
strada alla proclamazione del dogma.
La coscienza ortodossa, in generale, pur ammettendo che
il desiderio alla base di questa dottrina è quello di rendere maggiore
gloria alla Vergine Maria e alla sua purezza, sostiene che questa dottrina
la sminuisca, piuttosto che esaltarla. L'Immacolata concezione scava
infatti un abisso tra Maria e il resto del genere umano, e getta un velo
sulla ricca tradizione patristica che narra della lotta della Madre di
Dio contro le passioni e le tentazioni. Può essere inoltre la base
di tendenze aberranti a mettere Maria sullo stesso piano della divinità.
L'Ortodossia lascia comunque la dottrina dell'Immacolata
concezione nella sfera delle opinioni teologiche, e nessun ortodosso viene
considerato eretico se vi crede. Di fatto, alcuni celebri teologi ortodossi,
tra cui il Patriarca di Costantinopoli Giorgio Scholario (+1472) e il Metropolita
di Rostov San Dimitri Tuptalo (1651-1709), si pronunciarono in favore della
dottrina.
Un conto è però accettare un'opinione,
altro è proclamarla come dogma di fede, a fronte di una totale assenza
di testimonianze in tal senso nelle Sacre Scritture, nei primi Padri, e
nella fede dei primi otto secoli della Chiesa. L'Ortodossia non può
accettare la necessità di "migliorare" la tradizione apostolica
introducendo nei suoi fondamenti (i dogmi) un insegnamento tardivo e conflittuale.
Il nuovo dogma del 1854 segnò un altro allontanamento
del Cattolicesimo romano dalla tradizione ortodossa: fu infatti l'opportunità
di esercitare per la prima volta una potestà che si era venuta ad
attribuire al Papa di Roma nell'età moderna: quella di definire
dogmi di fede non per autorità di un Concilio Ecumenico, né
per suo incarico, ma ex sese (da se stesso).
Infallibilità papale
Uno dei punti di fondamentale divergenza dottrinale tra
cattolici romani e ortodossi è costituito dal dogma dell'infallibilità
papale, sviluppato dalla teologia latina come conseguenza del dibattito
sul primato della sede romana. La dottrina dell'infallibilità del
singolo pontefice (e della conseguente irreformabilità dei suoi
pronunciamenti) è assente nel primo millennio: sorse nel XIII secolo,
per opera della scuola francescana di Pietro Olivi (la ragione che questa
scuola aveva per difendere l'irreformabilità delle decisioni papali
era, molto prosaicamente, una serie di decreti favorevoli all'ordine francescano:
è degno di nota che lo stesso Papa Giovanni XXII, in disaccordo
con le decisioni dei suoi predecessori, non esitò a scagliarsi contro
la dottrina dell'infallibilità nella decretale Quia Quorundam
del 1324).
Avendo proclamato di propria autorità (seppure
in seguito alla consultazione dell'episcopato cattolico) il dogma dell'Immacolata
concezione nel 1854, Pio IX si era appropriato il diritto di cambiare autocraticamente
l'insegnamento della Chiesa romana, e dando alla propria voce un peso superiore
a quello delle Sacre scritture e della Tradizione. La diretta conseguenza
fu, nella costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I del
1869, la dichiarazione dogmatica dell'infallibilità dei pronunciamenti
solenni del pontefice romano in materia di fede e di morale.
La nozione di infallibilità non è estranea
al mondo ortodosso, però vi resta limitata alle Sacre Scritture
e al contenuto dogmatico dei Concili Ecumenici, in quanto espressione della
voce della Chiesa: anche questi ultimi, perché la loro infallibilità
venga riconosciuta, hanno bisogno di una ratifica reale da parte dei fedeli.
Mai, nel corso della storia della Chiesa ortodossa, si è investito
dell'infallibilità un singolo individuo, tanto meno come situazione
stabile, di diritto.
I difensori dell'infallibilità papale continuano
inoltre, agli occhi degli ortodossi, a non riuscire a risolvere l'impasse
della condanna postuma di Papa Onorio I come eretico (monotelita), sia
per decreto del Sesto Concilio ecumenico (Costantinopoli III, anno 680),
sia del suo successore, il Papa San Leone II (anno 682). I tentativi di
comporre questo contrasto comprendono le seguenti affermazioni:
1) L'insegnamento di Papa Onorio non era solenne ("ex
cathedra").
2) Le dottrine di Papa Onorio furono fraintese dai suoi
accusatori.
3) L'insegnamento (per la sua vaghezza) era imprudente
piuttosto che eretico.
La prima risposta lascia la questione irrisolta, perché
quand'anche l'insegnamento di Papa Onorio non fosse stato solenne, la sua
condanna come eretico lo è stata eccome (ed equivalente a un pronunciamento
papale sulla fallibilità papale). La seconda e la terza soluzione,
parimenti, pur scagionando Papa Onorio, gettano un'ombra di dubbio sul
suo successore e su un Concilio ecumenico, e si avvicinano a un rigetto
della loro autorità.
Il dibattito sulla solennità dei pronunciamenti
papali si fa molto più acuto considerando l'importanza dei cambiamenti
nel Credo (l'inserzione del filioque, condannata dai Papi Giovani
VIII e Leone III, fu ratificata nel 1014 da Papa Benedetto VIII) nelle
Sacre scritture (Papa Sisto V fece pubblicare una edizione latina delle
Scritture, ordinando, sotto pena di anatema, che venisse considerata la
più autentica; in considerazione di notevoli errori di traduzione,
la Vulgata Sistina fu ritirata dall'uso ecclesiastico dai suoi successori)
e nel culto (Papa Pio V vietò di modificare l'Ordinario della Messa
di rito romano da lui promulgato).
Un'osservazione pratica che gli ortodossi amano fare
al tema dell'infallibilità papale è che questo dogma rappresenta
la sconfitta ultima del principio conciliare nella Chiesa, lasciando la
conciliarità delle decisioni della Chiesa in balìa di un'autorità
fondamentalmente priva di controllo.
"In Persona Christi"
Mentre l'Ortodossia insegna che la grazia dei sacramenti
si infonde negli elementi materiali (pane, vino, acqua, olio) attraverso
l'epiclesi (q.v.) o invocazione dello Spirito Santo, il Cattolicesimo romano
ha un'enfasi molto più accentuata sul celebrante, che agisce "nella
persona di Cristo" donando grazia ai sacramenti nel suo nome. Questo spiega
anche perché le formule dell'amministrazione dei sacramenti si sono
modificate, nella prassi cattolica romana, da deprecative ("il Servo di
Dio N. è battezzato...") in indicative ("N., io ti battezzo...").
Il problema della concezione cattolica romana sorge quando
si inizia a confondere il ruolo del prete come rappresentante della persona
di Cristo con l'altro ruolo (attestato da una prassi ben più antica)
di rappresentante del vescovo, che a sua volta dovrebbe essere "icona di
Cristo" nella sua diocesi.
Libri liturgici
I libri di culto della tradizione cattolica romana sono
più volte stati riformati, subendo numerose semplificazioni e riduzioni
(soprattutto dopo il Concilio Vaticano II): per seguire le ufficiature
pubbliche della Chiesa romana, possono essere sufficienti il Messale e
il Breviario.
La Chiesa ortodossa mantiene una maggiore quantità
di testi (circa 5000 pagine a stampa) necessari per le ufficiature, e comprendenti
una piccola biblioteca di una ventina di volumi.
Tali libri, a prima vista di difficile padronanza, costituiscono
uno dei tesori più preziosi della Chiesa ortodossa, e una loro revisione
in senso riduttivo sarebbe vista come un atto di autolesionismo.
Lingua vernacolare
La Chiesa ortodossa ha sempre rispettato il diritto dei
fedeli a partecipare a funzioni di culto tenute in una lingua a loro comprensibile.
Se avviene che in certe chiese venga usata una lingua
più arcaica al posto di quella di uso corrente (nel mondo greco
si usa la forma antica della lingua greca; nelle chiese slave la lingua
liturgica è il paleoslavo, o antico slavo ecclesiastico, invece
delle lingue correnti come il russo, e così via), è pur vero
che queste lingue arcaiche sono tuttora comprensibili a livello popolare.
L'adozione universale della lingua parlata nella Chiesa
cattolica romana risale al periodo seguente al Concilio Vaticano II, e
talora l'imposizione forzata di una fraseologia "moderna" ha creato non
poche delusioni. Forte di una tradizione millenaria di liturgia vernacolare,
che riesce a essere genuinamente popolare senza scadere nella banalità,
l'Ortodossia avrebbe forse qualche esempio da offrire in materia.
Liturgia
Il termine "liturgia", che in Occidente è in uso
per indicare tutto l'insieme dei riti e delle celebrazioni ufficiali della
Chiesa, in Oriente indica principalmente la celebrazione dell'Eucaristia
(ed è con questo significato che, ai tempi del Rinascimento, il
termine fu "trapiantato" dalla Grecia nel lessico religioso della Chiesa
di Roma). Ancor oggi, con Liturgia, o Divina Liturgia, un
ortodosso intende quella che nel mondo latino viene chiamata Messa,
o Santa Messa.
Liturgia "ortodossa" o "bizantina"?
Spesso si fa riferimento all'antica Liturgia bizantina
chiamandola "Liturgia ortodossa", sorvolando sul fatto che anche le antiche
Liturgie occidentali (romana, ambrosiana, gallicana, e così via),
nate nel contesto di piena fede ortodossa della Chiesa del primo millennio,
hanno il medesimo diritto a questo appellativo.
Nella coscienza ortodossa, "Ortodossia" non è
sinonimo di "rito orientale" (l'identificazione operata in tal senso in
ambiente cattolico romano viene vista come un abuso), ma di pienezza
di fede. Un rito differente, purché sia capace di esprimere
la stessa pienezza, sarebbe altrettanto legittimo e "ortodosso" di quello
bizantino.
Di fatto, certi gruppi di ortodossi in Occidente hanno
adottato o riadattato antichi riti occidentali a proprio uso, con zelo
e dedizione per la riscoperta delle radici ortodosse della cristianità
latina.
Massoneria e fede cristiana
Come accade nel Cattolicesimo romano, anche nell'Ortodossia
l'appartenenza di un membro della Chiesa alla massoneria è strettamente
proibita, e comporta la scomunica. La relativa scarsità di sentenze
esplicite di condanna, tuttavia (mentre la Chiesa cattolica romana ha emesso
in due secoli e mezzo oltre cinquecento scomuniche), ha fatto sì
che la Chiesa ortodossa venisse spesso accusata, da parte romana, di compromessi
con il mondo massonico.
L'accusa è quanto meno strana, se si considera
che il nucleo delle obiezioni cristiane alla massoneria è rivolto
al relativismo in questioni di fede: una imputazione difficilmente applicabile
alla Chiesa ortodossa, che nel corso dei secoli ha patito indicibili umiliazioni
proprio per non transigere sui punti fermi della fede.
La posizione della Chiesa romana in materia è
indubbiamente più chiara, e le sue ragioni sono più debitamente
espresse e articolate. Tuttavia, l'assenza di ripetute condanne da parte
ortodossa è sintomo di un atteggiamento verso i problemi giuridici
molto meno categorico e conflittuale. L'Ortodossia, una volta riconosciuta
l'incompatibilità di una data posizione filosofica o dottrinale
con la fede cristiana, non sente il bisogno di reiterare continuamente
la propria posizione, come se bastassero alcuni secoli o decenni a "esaurire"
le sue ragioni.
Meditazione
La tradizione spirituale ortodossa fa raramente uso dei
sistemi di 'meditazione discorsiva', impiegati nel Cattolicesimo romano
sin dai tempi della Controriforma (si pensi ai metodi di esercizi spirituali
stabiliti da Ignazio di Loyola e da Francesco di Sales). Una probabile
ragione di questa assenza è la ricchezza e frequenza di testi-chiave
e di immagini che si può riscontrare nelle ufficiature ortodosse,
particolarmente nelle grandi feste e nei periodi quaresimali. Questa abbondanza
è sufficiente a nutrire l'immaginazione del fedele, che non ha più
bisogno di ripensare quotidianamente il messaggio dei servizi della Chiesa
in un periodo di meditazione formale. Nell'addestramento alla preghiera
esicasta, anzi, la meditazione su immagini e sentimenti è positivamente
scoraggiata, in quanto aprirebbe la strada a illusioni emotive e autosuggestioni.
Ministri Straordinari dell'Eucaristia
Il nuovo ruolo dei Ministri Straordinari dell'Eucaristia,
ora affidato nella Chiesa cattolica romana (di rito latino) anche a laici
che dovrebbero essere adeguatamente istruiti, è divenuto fonte di
molte violazioni delle istruzioni liturgiche e di atteggiamenti ben poco
riverenti.
Se da una parte si vuole attribuire tutto questo a spontaneismo
e mancanza di preparazione, nondimeno resta acuto il contrasto con secoli
di accuse, da parte cattolica romana, di scarsa riverenza eucaristica tra
gli ortodossi, solo perché questi non avevano atti di adorazione
eucaristica (q.v.), e non esponevano le sacre Specie alla venerazione dei
fedeli.
Ministro della Cresima
Nel medioevo, il mondo latino restrinse l'amministrazione
della cresima ai soli vescovi, facendo della cresima un sacramento sempre
più separato dalla vita parrocchiale; nel tredicesimo secolo, si
giunse alla sua completa separazione dal battesimo, sdoppiando così
la pratica dell'iniziazione cristiana.
La relativa difficoltà di cresimare i fanciulli
nel mondo cattolico romano (erano richieste a tal fine apposite visite
episcopali), e i frequenti casi di bambini morti prima della cresima, portarono
i teologi latini (forse non senza l'intento di tranquillizzare i fedeli)
a sviluppare un nuovo insegnamento: che la cresima non sia un sacramento
incondizionatamente necessario per la salvezza.
Anche se, progressivamente (partendo dalle necessità
in terre di missione), la Chiesa romana ha reintrodotto l'uso di far amministrare
la cresima dai presbiteri, questi rimangono ministri straordinari, e in
via ordinaria il ministro è sempre il vescovo.
Nella Chiesa ortodossa, la cresima può essere
amministrata da qualunque sacerdote, usando il crisma (ovvero il Santo
Myron) consacrato dal vescovo.
Non andrebbe dimenticata, parlando di innovazioni latine
nella cresima, l'adozione di una serie di usi cavallereschi medioevali
(come lo schiaffo dato dal vescovo al neocresimato), che, oltre a snaturare
il senso del sacramento facendone un rito di tono bellico, furono causa
di numerose offese ai costumi dei popoli orientali.
Ministro del Matrimonio
Il sacramento del matrimonio è visto in modo molto
diverso dall'Ortodossia e dal Cattolicesimo romano, sia a livello di principi
teologici che a livello di prassi liturgica e pastorale.
Il celebrante del sacramento, per gli ortodossi, è
sempre il vescovo o prete officiante; la tesi sostenuta nel mondo cattolico
romano, che i veri celebranti del matrimonio siano gli sposi stessi, ha
le sue origini nel giuridismo teologico medioevale. Arrivando a considerare
il matrimonio con le categorie giuridiche del contratto, la logica conclusione
fu quella di considerare come figure centrali i "contraenti", mentre l'autorità
che presiede si limita a ratificare la benedizione della Chiesa.
Questa linea di principio ha poi fatto nascere alcuni
controsensi all'interno dello stesso mondo cattolico romano; per esempio,
per "rispettare la tradizione" delle Chiese orientali cattoliche, ai diaconi
cattolici di rito orientale è proibito celebrare riti matrimoniali,
mentre ai diaconi di rito latino è concesso, in quanto semplici
"assistenti" degli sposi-celebranti.
Missione
Il concetto di missione nell'Ortodossia e nel Cattolicesimo
romano è piuttosto differente, e spesso, giudicando la Chiesa ortodossa
con i parametri di missione invalsi nel cristianesimo occidentale, si è
giunti a definire l'Ortodossia come carente dal punto di vista missionario.
La fase iniziale della missione cattolica è stata
tradizionalmente affidata agli ordini religiosi (q.v.), che si prendevano
cura di intere zone o paesi, avviando le attività ecclesiali secondo
la loro particolare regola, fino alla costituzione di strutture diocesane
locali (ma spesso anche le cariche episcopali venivano affidate allo stesso
ordine religioso che aveva compiuto l'evangelizzazione del luogo). Anche
le società missionarie protestanti, seppure in un'ottica di rifiuto
degli ordini religiosi, si muovevano su linee simili.
Nell'Ortodossia, Chiesa e missione sono visti in modo
molto più inseparabile. Il temine ortodosso (e neotestamentario)
per "missionario" è apostolo, e la funzione missionaria è
parte integrante dell'aspetto di apostolicità della Chiesa. Ne consegue
che lo sforzo di evangelizzazione non può essere appannaggio di
un singolo settore, come un ordine religioso o una società di fedeli
(spesso agli inizi della missione ortodossa si trovano dei monaci, ma senza
strutture centralizzate che ne regolano l'attività), e che questo
sforzo deve essere sempre soggetto all'autorità del vescovo locale,
e coordinato all'interno della Chiesa locale.
Movimento carismatico
La reazione di cattolici e ortodossi al movimento carismatico
moderno è un ennesima riprova di una profonda differenza di valutazione
degli stessi fenomeni.
Di fronte all'ondata di risveglio pentecostale, originatasi
per lo più in ambiente protestante, la Chiesa di Roma, dopo un periodo
di diffidenza iniziale, verso la fine degli anni '60 ha aperto le porte
alla religiosità di tipo carismatico, incoraggiando la formazione
di movimenti carismatici nel proprio seno.
L'Ortodossia, d'altro canto, non ritrovando paralleli
accettabili nella tradizione patristica e ascetica della Chiesa, vede il
movimento carismatico come una delle tante "nuove spiritualità",
più o meno deviate, del mondo moderno. Inoltre, per gli ortodossi,
fare propria una realtà di "risveglio" che nasca al di fuori della
pienezza della Chiesa (la tradizione ortodossa) equivale ad accettare una
nuova rivelazione che, di fatto, trascende la Chiesa.
E così, mentre nel Cattolicesimo romano i movimenti
carismatici, con l'avallo della gerarchia, moltiplicano le esperienze di
una spiritualità sempre più estranea alla tradizione cattolica,
i rari tentativi di importare un risveglio carismatico nella Chiesa ortodossa
vengono per lo più visti come infiltrazioni di una concezione eterodossa
della Chiesa.
Il primo inizio di movimento carismatico ortodosso, avviato
in America su iniziativa di un prete greco, Padre Eusebios Stephanou, si
è concluso con la completa abiura del promotore, che ne ha riconosciuto
la fallacità.
Musica ecclesiastica e strumenti
Nelle chiese ortodosse, con l'eccezione di alcune chiese
greche (per esempio, nelle Isole Ionie) che hanno a lungo subito un influsso
latino, è virtualmente impossibile trovare strumenti musicali a
uso liturgico. Per quanto le Sacre Scritture siano ricche di immagini di
lode a Dio attraverso strumenti musicali, infatti, i Padri della Chiesa
esortarono all'uso della sola voce umana negli inni, sull'esempio di nostro
Signore e dei suoi discepoli. Le Costituzioni Apostoliche del IV
secolo vietano l'uso di strumenti musicali nella chiesa, e la prassi ortodossa
è rimasta invariata da allora.
In Occidente, invece, l'uso degli strumenti risale al
periodo carolingio, quando furono insediati nelle chiese i primi organi.
Per colmo dell'ironia, furono proprio gli imperatori greci di Bisanzio
(che usavano gli organi a corte e all'ippodromo) a fare dono di questi
strumenti ai re carolingi (Costantino I Copronimo ne donò uno a
Pipino il Breve, e Michele III Rangabe ne offrì uno a Carlo Magno).
Ancora oggi, gli ortodossi vedono nell'uso liturgico
di strumenti musicali una disubbidienza alle regole e allo spirito dei
Padri, e un pericoloso principio di commistione tra musica sacra e musica
profana.
Numero dei Sacramenti
La Chiesa ortodossa ha in comune con il Cattolicesimo
romano la dottrina dei Sette Sacramenti (o Misteri, secondo la terminologia
greca): tuttavia, la differenza tra sacramenti e sacramentali non vi è
delimitata in modo così netto: il numero sette non ha un significato
dogmatico assoluto nella teologia ortodossa, e alcuni riti, come la tonsura
monastica o l'unzione dei sovrani, vengono considerati in modo informale
come sacramenti. Lo stesso uso del termine greco "Misteri" sembra suggerire
una connotazione più interiore, laddove il latino "Sacramenti" pare
insistere più sugli atti rituali esteriori.
Ordini cavallereschi
Nell'ortodossia storica gli ordini religiosi cavallereschi
brillano per la loro assenza. (Non sarebbe onesto definire "ordine cavalleresco",
per esempio, l'aberrazione degli oprìchniki, la guardia privata
dello Zar Ivan IV il Terribile, in cui si giunse talvolta a parodie della
vita monastica; neppure alcuni ordini nobiliari tuttora esistenti nella
Chiesa ortodossa possono rientrare in questa categoria, perché si
tratta di onorificenze civili e non di ordini religiosi).
Può sembrare strano, visto il forte carattere
monastico della spiritualità ortodossa, e il sentimento di rispetto
che le nazioni ortodosse hanno sempre mostrato per l'esercito e i difensori
della patria, che non si sia sviluppata una figura di "monaco guerriero"
pari a quelle del Medioevo latino.
Bisogna ricordare, tuttavia, che rimane ancora forte
il risentimento degli ortodossi per le crociate, che furono la culla di
questi ordini (e che causarono innumerevoli stragi, sacrilegi e distruzioni
nell'Impero bizantino), e, soprattutto, che il monaco ortodosso, nel suo
rifiuto del mondo, rifiuta anche l'illusione di poter migliorare le sorti
dell'umanità con una azione concertata di stile gerarchico-militare.
Ordini Maggiori
Fin dai primi secoli, la Chiesa ha suddiviso il sacerdozio
ministeriale in tre gradi o funzioni, chiamati Ordini maggiori: quelli
di diacono, di presbitero (= prete) e di vescovo. Altre funzioni ministeriali,
come quelle dei suddiaconi (di cui si ha notizia già nel III secolo),
dei lettori e dei cantori, venivano considerate come "Ordini minori", non
istituiti da Cristo. La stessa "imposizione delle mani" (il gesto rituale
che accompagna ogni ordinazione) viene tuttora definita nella Chiesa ortodossa
con due termini diversi (chirotonìa e chirotesìa),
a seconda che si tratti di ordinazioni maggiori o minori.
La Chiesa romana, dalla fine del XII secolo, ha voluto
far rientrare l'ordine minore del suddiaconato nel novero degli Ordini
maggiori. Per salvaguardare la dottrina dei tre gradi del sacerdozio, ha
dovuto sostenere che gli Ordini maggiori fossero quelli di suddiacono,
diacono e presbitero, escludendone quello del vescovo, visto come funzione
di "pienezza" del potere sacerdotale.
La recente riforma liturgica della Chiesa cattolica romana
ha visto la soppressione dell'ordine del suddiaconato, senza dubbio al
fine di operare un ritorno all'antica tradizione, ma con la conseguente
illogica scomparsa di quello che era stato per secoli un Ordine maggiore.
Ordini religiosi e monachesimo
L'Oriente conosce un solo "ordine" monastico, il monachesimo
integrale (per quanto questo sia vissuto in diversi gradi di intensità,
dal noviziato fino allo stato del "grande abito", corrispondente alla vita
monastica "di stretta osservanza").
L'Ortodossia pertanto, pur avendo una grande varietà
di monasteri e di modalità di vita monastica (vita comune, anacoretismo
o eremitaggio, vita in piccoli nuclei fraterni) non ha nulla di simile
agli "ordini" religiosi cattolici. Talvolta si definisce "monachesimo basiliano"
lo stato monastico ortodosso (dalla regola di San Basilio, uno dei primi
codificatori della vita monastica comunitaria), ma il termine è
una forzatura, e in senso stretto dovrebbe applicarsi solo ai non numerosi
nuclei di monaci cattolici di rito bizantino.
La "specializzazione dei carismi", tanto tipica degli
ordini religiosi cattolico-romani, fino ai nostri tempi, ha fatto sorgere
ordini esplicitamente votati ad aspetti isolati della vita religiosa (e
tipicamente della vita religiosa attiva, come la predicazione o l'assistenza
agli infermi). Questo costume ha creato in effetti dei compartimenti stagni
di spiritualità, portando la vita religiosa sempre più lontano
dall'antica esperienza monastica integrale.
Pane eucaristico
La comune prassi liturgica nel primo millennio del cristianesimo
richiedeva che il pane eucaristico fosse lievitato. L'usanza di impiegare
pane azimo fu introdotta in epoca piuttosto tarda (IX secolo) dalla Chiesa
armena, da tempo separata dalla comunione delle Chiese ortodosse. In seguito,
l'uso fu adottato da tutta la cristianità latina.
Contro l'uso del pane azimo, la Chiesa ortodossa ha sempre
obiettato su tre punti: 1) Il Vangelo dice che Gesù prese il pane
(àrton) e non l'azimo; 2) questa pratica confonde la liturgia
cristiana con gli usi ebraici; 3) il lievito nel pane è come l'anima
per il corpo, e il pane lievitato simbolizza la piena umanità di
Cristo, con tutte le energie viventi dell'umanità, in conformità
alla cristologia del Concilio di Calcedonia (451).
Oggi la Chiesa cattolica romana fa uso di pane azimo
o lievitato a seconda dei "riti", mentre la Chiesa ortodossa insiste sul
mantenimento dell'antica tradizione, mostrando su questo punto una certa
intransigenza (poiché gli elementi da consacrare sono di importanza
fondamentale nell'Eucaristia).
Poiché il pane azimo non richiede preparazioni
speciali durante il rito eucaristico, l'intera fase preparatoria della
Presentazione dei doni (Proscomidia) è stata perduta nel rito romano.
In tal modo, i fedeli vengono privati dell'antica usanza ecclesiastica
di commemorare i membri della chiesa, vivi e defunti, e pregare che i loro
peccati vengano lavati nel Sangue di Cristo, così come le particole
di pane offerte per loro vengono immerse nel calice eucaristico.
La differenza tra l'ostia grande del celebrante latino,
e le piccole ostie per comunicare i fedeli, è una ulteriore privazione
del senso simbolico della partecipazione all'unico pane (cfr. 1 Cor 10,17).
Padri della Chiesa
La dottrina cattolico-romana fissa un limite temporale
all'età dei Padri della Chiesa: perché si possa parlare di
Padri, si richiede per loro, oltre ai requisiti della santità, dell'ortodossia
dottrinale e dell'approvazione ecclesiastica, anche quello dell'antichità.
Dopo un certo periodo, fissato per lo più al tempo di Sant'Isidoro
di Siviglia (c.560-636) per l'Occidente, e di San Giovanni Damasceno (c.675-749)
per l'Oriente, la Chiesa non produce più Padri, ma, tutt'al più,
Dottori. La distinzione non è solo a livello terminologico: il Padre,
per sua stessa funzione, "genera" o "forma" una dottrina (traendola, beninteso,
dalla fede apostolica), mentre un Dottore la "sviluppa" o la "sistematizza".
La Chiesa ortodossa, d'altro canto, ritiene assurdo definire
chiusa l'epoca dei Padri, come se si trattasse di un ciclo di eventi passati.
Anche nella nostra epoca, o in un lontano futuro, Dio può suscitare
nella Chiesa dei personaggi che possono ricoprire lo stesso ruolo dei Padri
del passato. L'acquisizione di una mente patristica, ovvero una
comunione di intenti e di spirito con i Santi Padri, è del resto
una meta costante dell'ascesi monastica ortodossa.
Sostenere che l'età dei Padri è chiusa,
peraltro, equivale ad affermare che lo Spirito Santo ha abbandonato la
Chiesa, non avendo più il potere di produrre persone in grado di
"formarla".
"Papa": un titolo non esclusivo
Udendo la parola "Papa," si pensa subito al vescovo di
Roma, e forse molti restano sorpresi quando vengono a sapere che anche
il Patriarca ortodosso di Alessandria porta il titolo di Papa, e così
pure il Patriarca della Chiesa copta, che pure non è in piena comunione
con la Chiesa ortodossa né con la Chiesa cattolica romana. Peraltro,
il titolo di "Papa" è giunto a Roma dall'Egitto, e non viceversa.
L'appellativo (che significa genericamente "padre"), deriva dagli usi della
Chiesa alessandrina, di cui il Patriarcato di Roma adottò numerose
usanze liturgiche durante il primo millennio (basti pensare ai flabelli,
o ventagli di piume, usati nel Pontificale romano e risalenti con una certa
probabilità al cerimoniale dell'antico Egitto).
Pasqua e le altre festività
Per l'Ortodossia, la Pasqua è la "festa delle
feste," tanto da non essere neppure annoverata tra le "dodici grandi feste"
del ciclo cristologico, e da occupare un posto a parte, di assoluta centralità.
L'enfasi occidentale sull'Incarnazione e sul dramma della Passione si fa
sentire ancora nel Catechismo di Papa Pio X, dove la lista dei principali
misteri della religione cristiana include l'Incarnazione, la Passione e
la Morte del Signore, senza menzionare esplicitamente la Risurrezione.
Peccato e caduta dell'uomo
La concezione agostiniana del peccato come eredità
di natura ha esercitato una straordinaria influenza sulla teologia occidentale;
secondo il pensiero patristico dell'Oriente, invece, solo l'intelletto
libero e personale può commettere peccato, che non è mai
un atto di natura. Il peccato di Adamo apre le porte alla mortalità,
e all'ottenebramento delle passioni, ma questa colpa ancestrale (come del
resto la salvezza) può realizzarsi in ogni persona solo coinvolgendo
la sua libera volontà.
Questo contrasto si è fatto acuto nella polemica
sul destino dei bambini non battezzati, che per Agostino restano comunque
eredi della colpa, e riguardo al tema dell'Immacolata concezione (q.v.),
che per l'Ortodossia è privo del fondamento di una vera e propria
colpa ereditaria da cui Maria sarebbe stata preservata.
E' opportuno altresì ricordare che per la teologia
occidentale, per la quale la caduta di Adamo avvenne da uno stato di grazia
e conoscenza, la colpa originale è valutata con parametri diversi
da quelli dei Padri orientali, per i quali Adamo cadde da uno stato di
ignoranza innocente.
Periodi di digiuno
La tradizione cattolica ha gradualmente soppresso nel
tempo i periodi quaresimali di astinenza e di digiuno (tanto da arrivare
ai tempi attuali a un precetto di digiuno pressoché simbolico, limitato
ai venerdì di Quaresima e al Mercoledì delle Ceneri).
Gli ortodossi, in conformità con i costumi della
Chiesa del primo millennio, mantengono tuttora quattro periodi quaresimali:
1- la Grande Quaresima (sette settimane prima della Pasqua,
corrispondenti alla quaresima latina)
2- il Digiuno degli Apostoli (dal termine dell'ottava
di Pentecoste fino alla festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 Giugno)
3- Il Digiuno dell'Assunzione (i primi 15 giorni di agosto)
4- Il Digiuno di Natale (quaranta giorni, dal 15 novembre
al 24 Dicembre)
Inoltre, sono giorni di digiuno e astinenza tutti i mercoledì
e i venerdì dell'anno (nei monasteri anche i lunedì), le
vigilie delle grandi feste, e alcune festività particolari, come
quella dell'Esaltazione della Santa Croce (14 Settembre). Le eccezioni
a questi periodi di digiuno sono poche, ed è stato calcolato che
nella vita degli ortodossi sono più numerosi i giorni di digiuno
di quelli in cui è lecito di cibarsi di ogni cosa.
"Per molti", o "per tutti"?
Nella versione vernacolare del Novus Ordo Missae
cattolico romano, in numerose lingue moderne (tra cui l'italiano), il termine
"multis" delle parole di istituzione eucaristica ("questo è il mio
Sangue, che per voi e per molti si versa in remissione dei peccati"), è
stato tradotto con "tutti": questo punto marca una considerevole deviazione
non solo dalla pratica ortodossa, ma anche dalla teologia cattolica romana
del periodo tridentino.
Il Catechismo del Concilio di Trento, in accordo su questo
punto con la teologia ortodossa antica e moderna, condanna l'uso del termine
"tutti" per indicare coloro per cui il Sangue di Cristo viene sparso. Il
Catechismo fa un esplicito paragone tra il sacrificio di Cristo e la sua
preghiera al Padre, in cui Egli prega per coloro che il Padre gli ha dato,
e non per il mondo: il sangue viene sparso per coloro che accettano Cristo,
e non per tutti indistintamente, poiché se tutti possono volgersi
a Cristo, non tutti lo hanno fatto.
Questo cambiamento terminologico è di particolare
gravità, non solo perché sono state mutate le parole stesse
di Cristo, ma perché, per la teologia cattolica romana, queste parole
sono la chiave della consacrazione eucaristica.
Pneumatologia
Per la coscienza ecclesiale ortodossa, la scarsa attenzione
portata allo Spirito Santo nel cattolicesimo romano è un frutto
della stessa distorsione della teologia trinitaria che produsse anche il
filioque (q.v.). Per accorgersi di tali lacune, è sufficiente
vedere quanto poco spazio sia dedicato nei testi teologici occidentali
all'attività dello Spirito Santo nel mondo, nella Chiesa, nella
vita dei singoli cristiani. A colmare questa carenza, sorse un eccesso
opposto di accettazione della Chiesa come istituzione terrena. La mancata
ricostruzione di una pneumatologia (scienza dello Spirito Santo) basata
sulla comprensione patristica lascia aperto il campo a numerose visioni
alternative, quali quelle del movimento carismatico (q.v.). Di fronte a
ogni tentativo ecumenico di appianare le divergenze minimizzando la questione
del filioque, l'Ortodossia non può che rispondere che ogni
insegnamento falso sullo Spirito Santo è un colpo diretto alla Fede
della Chiesa.
Una delle ragioni dell'insistenza ortodossa su un'adeguata
dottrina dello Spirito Santo è anche quella di ridimensionare il
concetto di autorità: non è l'autorità a rendere
tale la Chiesa, ma l'inabitazione in essa dello Spirito, che rende reale
la presenza di Cristo tra gli uomini e negli uomini. Anche se esiste posto
nella Chiesa ortodossa per un esercizio dell'autorità (Vescovi,
Concili, Sacre Scritture, Tradizione), questa è solo una delle espressioni
di tale presenza.
Precetto festivo
Anche se alcune Chiese ortodosse locali, nella loro disciplina
canonica, includono una regola di partecipazione alla Liturgia domenicale
che è molto simile al "precetto festivo" del cattolicesimo romano
(e in alcuni casi ne sembra evidentemente influenzata), gli ortodossi si
sentono piuttosto a disagio con la "obbligazione" cattolica romana al culto
domenicale (come se la partecipazione alla Liturgia fosse un atto di dovuta
cortesia, piuttosto che la partecipazione al dono della salvezza).
Forse il concetto della Liturgia come scuola potrebbe
aiutare a chiarire questa scarsità di precetti: essendoci così
tante funzioni ricche di contenuto teologico, coloro che cercano di approfondire
la propria conoscenza spirituale si sforzano di essere presenti a quante
più funzioni possibili, e anche la durata (q.v.) delle funzioni
assume un carattere pedagogico.
Preparazione alla Santa Comunione
Il profondo senso di venerazione degli ortodossi per
l'eucaristia fa sì che i fedeli dedichino una particolare attenzione
alla preparazione alla comunione, partecipando alla funzione di Veglia
(o quanto meno al Vespro) alla sera prima, o supplendo alla preghiera pubblica
con adeguate preghiere preparatorie. La stessa prassi vuole che chi desidera
comunicarsi si astenga alla sera prima da attività dispersive (come
la danza) o, nel caso di sposi, da rapporti coniugali (questo non per disprezzo
verso la sessualità, ma per un senso di priorità del nutrimento
dello spirito).
Nel mondo cattolico romano, la totale scomparsa di questi
precetti, oltre all'estrema semplificazione delle norme sul digiuno (q.v.),
espone facilmente alla banalizzazione dell'atto centrale e più sacro
della vita del cristiano.
Primato di giurisdizione universale
Oltre all'infallibilità papale (q.v.), il concilio
Vaticano I promulgò una definizione dogmatica riguardo al primato
papale, meno nota di quella dell'infallibilità, ma altrettanto inaccettabile
agli occhi della tradizione ortodossa. Si tratta della giurisdizione universale
del pontefice romano, che fa del Papa di Roma, per il fatto stesso della
sua elezione al soglio pontificio, una sorta di super-Ordinario universale,
superiore di diritto a qualsiasi vescovo. Ne consegue che, per la concezione
cattolica romana, un vescovo è vescovo della Chiesa cattolica solo
in virtù della sua comunione con il papa. Quest'ultimo diventa il
solo vescovo in senso proprio, e tutti gli altri i suoi vescovi vicari,
in diretto conflitto con i canoni della Chiesa, che apertamente vietano
l'interferenza di un vescovo nella giurisdizione di un altro, eccetto che
per ben definiti rimedi conciliari (simbolicamente, un corpo con due capi
visibili è un mostro).
L'Ortodossia vede in questa forma di primato la costituzione
di un vero e proprio Ordine sacro al di sopra dell'episcopato, un Ordine
non istituito da Cristo, e senza precedenti nella storia cristiana; non
cessa quindi di richiamare la sede romana al sobrio modello dello stesso
Papa Gregorio Magno, che giunse a rimproverare il Patriarca di Costantinopoli
perché aveva accettato dall'imperatore il titolo di "Patriarca ecumenico"
(in verità, non per elevare la sua giurisdizione, ma per sottolineare
il fatto che Costantinopoli era la capitale dell'impero), laddove, a suo
dire (Libro V, Lettera XVIII), nessuno degli apostoli o dei predecessori
di San Gregorio nella sede romana aveva mai vantato un rango universale...
Professione monastica
La professione monastica mantiene nella Chiesa Ortodossa
un carattere di benedizione sacramentale, uniforme e analoga per tutti
gli aspiranti alla vita "angelica."
Nella Chiesa cattolica romana sono stati introdotti nel
periodo medioevale alcuni elementi esterni al monachesimo, che si sono
fatti strada negli ordini religiosi (q.v.) fino ai giorni nostri. Per esempio,
sotto l'influsso di ordini cavallereschi (q.v.), la professione monastica
assunse alcuni elementi della cerimonia di vassallaggio: questi, pur esaltando
alcuni aspetti del monachesimo, tra cui l'obbedienza, alteravano in modo
sottile la tradizione monastica precedente.
Il cambiamento più notevole, influenzato dalla
predicazione di Bernardo di Chiaravalle e Francesco d'Assisi, si ebbe nel
tardo medioevo negli ordini religiosi femminili cattolici. All'enfasi sulla
redenzione per mezzo della Risurrezione, si sostituì l'ideale della
partecipazione emotiva alla Passione del Signore. Considerando Cristo come
marito/amante mistico, il monachesimo femminile si caricò di immagini
sponsali, con tanto di assimilazione del rito della tonsura alla cerimonia
nuziale, con veli da sposa, anelli di matrimonio, e così via. Tale
variazione crea un'arbitraria frattura tra la vita religiosa femminile
e quella maschile, priva di dimensioni "sponsali" istituzionali, a discapito
di quest'ultima (la disparità numerica tra religiose e religiosi
cattolici romani ne è ancora oggi un risultato).
Purgatorio
In sintonia con i Padri della Chiesa, la teologia ortodossa
parla di uno stato intermedio dopo la morte, di beatitudine per i giusti
e di tormento per i peccatori: uno stato ancora privo (prima del Giudizio
Finale) di un carattere definitivo. Per coloro che sono morti con piccoli
peccati inconfessati, o che non hanno portato frutti di pentimento per
i peccati confessati in vita, si parla della purificazione di questi peccati
o nella prova della morte, o attraverso l'intercessione della Chiesa (con
la preghiera e le buone opere dei fedeli). Questa intercessione è
in grado anche di dare una certa misura di sollievo ai tormenti dei peccatori
destinati al castigo eterno, come testimoniano numerosi Padri e alcune
preghiere pubbliche della Chiesa per i defunti (per esempio, la terza delle
preghiere in ginocchio della domenica di Pentecoste, attribuite a San Basilio).
Ogni perdono di peccati dopo la morte viene unicamente dalla bontà
di Dio, con la cooperazione delle preghiere degli uomini, e senza bisogno
di alcuna forma di "soddisfazione" o "pagamento".
La Chiesa cattolica romana era giunta, al tempo del concilio
unionista di Lione, a considerare lo stato intermedio dei defunti prima
del Giudizio Finale come definitivo e irreformabile. L'inutilità
di pregare per i beati già perfetti, o per i dannati senza speranza,
giunse a fare ipotizzare un "terzo stadio" di sofferenza limitata e purificatrice,
dove anche i peccati già perdonati devono ricevere "soddisfazione".
La tradizione ortodossa vede questa dottrina come qualcosa di essenzialmente
estraneo alla fede apostolica, aggravata dall'assenza di riferimenti espliciti,
nelle Sacre scritture, a uno stato che non sia quello della beatitudine
dei giusti o del tormento dei peccatori.
Il Purgatorio nasce dalla concezione di una punizione
ecclesiastica che deve necessariamente corrispondere a ogni peccato,
in questa vita o nella prossima, e dalla nozione giuridica di opere supererogatorie
(in eccesso rispetto al necessario per la salvezza), una dottrina sviluppatasi
nella scolastica del XIII secolo, e confermata da Papa Clemente VI nel
1343. Questa dottrina per l'Ortodossia, non solo non è scritturale,
ma addirittura in chiaro contrasto con le parole di Cristo (i "servi inutili"
di Lc 17,10 non sembrano depositari di meriti sovrabbondanti). L'ideale
di perfezione cristiana, del resto, è per i fedeli ortodossi così
alto, che la sua stessa irraggiungibilità esclude a priori che si
possa superarne la misura.
Infine, l'Ortodossia mantiene serie riserve sul contorno
legalistico che il Cattolicesimo romano ha costruito attorno al Purgatorio,
così come sulla pratica delle indulgenze (ovvero il trasferimento
dei meriti sovrabbondanti di Cristo e dei Santi per colmare i debiti dei
peccatori), che ne è il logico coronamento.
Quarto matrimonio
Il Cattolicesimo romano, accettando durante il Medioevo
una visione giuridica del matrimonio come contratto vincolante per la durata
della vita degli sposi, giunse a ritenere che la morte di un coniuge estingua
il vincolo matrimoniale: si arrivò così a permettere il matrimonio
delle persone rimaste vedove senza limite di numero di nozze successive.
Il diritto canonico ortodosso, invece, in stretta conformità
con gli antichi canoni e con i dettami dei Padri, proibisce in ogni
caso (sia a causa di vedovanza che di scioglimento di matrimoni precedenti)
un quarto matrimonio, e anche il permesso di un terzo matrimonio viene
accordato con una certa difficoltà. Questa particolare durezza dovrebbe
far riflettere di fronte all'accusa di lassismo matrimoniale che viene
facilmente attribuita agli ortodossi in un confronto con la prassi cattolico-romana.
Rasatura e tonsura del clero
Mentre nell'Alto Medioevo la Chiesa cattolica romana
impose gradualmente il costume del taglio della barba al proprio clero,
nel mondo ortodosso si è mantenuto il costume di lasciare crescere
barba e capelli, seguito in particolare dai monaci. Benché sia evidentemente
un particolare esteriore ed estetico, seppure di origine apostolica, questo
aspetto del monachesimo e del clero ortodosso costituisce un istintivo
richiamo all'immagine di Cristo e degli apostoli.
Ricezione dei convertiti
La Chiesa cattolica romana, per quanto riguarda il conferimento
di sacramenti e di Ordini sacri al di fuori della sua comunione, ha aderito
strettamente alla dottrina agostiniana dei sacramenti. Questa dottrina
vuole che un atto sacramentale conferito al di fuori dei limiti visibili
della Chiesa (anche la stessa consacrazione di un vescovo), rimanga valido,
per quanto illecito (ovvero giuridicamente irregolare), e al momento
della riconciliazione con la Chiesa debba essere riconosciuto come tale.
La sola condizione è che venga seguito secondo i dettami di un rito
di provenienza apostolica, con l'intenzione di fare "ciò che fa
la Chiesa". Differenze sostanziali di rito e di intenzione hanno portato
Roma a negare la validità sacramentale di sacramenti e ordini delle
Chiese nate in seguito alla riforma, soprattutto quella anglicana.
L'Ortodossia, d'altro canto, non si è mai sentita
vincolata a questa visione legalistica degli ordini e dei sacramenti: essa
riconosce la presenza della grazia sacramentale al suo interno, in quanto
corrispondente con la pienezza della fede: ciò non significa, come
alcuni hanno potuto pensare, che la Chiesa ortodossa presuma di negare
la presenza della grazia al di fuori dei suoi confini visibili; soltanto,
essa non si pronuncia a riguardo.
Se un convertito proveniente da un'altra comunità
cristiana desidera entrare nella Chiesa ortodossa, questa si sente libera
di accettarlo reiterando i sacramenti in precedenza ricevuti dal convertito
(posizione di acrivìa, o severità), oppure "sanando"
sacramenti ed eventuali Ordini sacri come se questi fossero stati ricevuti
all'interno dell'Ortodossia (posizione di economia, o dispensazione).
Quale che sia la forma adottata, la Chiesa Ortodossa ritiene comunque che
la pienezza di questi sacramenti inizi a decorrere soltanto dal momento
della ricezione nell'Ortodossia.
I cattolici romani, abituati a ricevere i convertiti
secondo "categorie" ben definite (coloro che hanno ricevuto un battesimo
"valido", coloro di cui sono "validi" anche gli Ordini, e così via)
si sentono spesso disorientati, e talvolta offesi, quando vedono che le
singole Chiese ortodosse (che talvolta hanno ordinamenti differenti, alcuni
più severi, altri più "economici") ricevono convertiti, magari
provenienti dalla stessa Chiesa di partenza, in modi differenti: chi viene
"ribattezzato", chi "ricresimato", chi "riordinato", chi accolto mediante
una professione di fede o una rinuncia alle eresie...
La posizione ortodossa è probabilmente meno "chiara",
ma la lezione da imparare è che la forma della ricezione
di un convertito è di importanza secondaria rispetto al suo accoglimento
nella pienezza della fede ortodossa.
Riunione dei cristiani
La Chiesa di Roma vede nella riunione visibile sotto
la giurisdizione universale del successore di Pietro la condizione indispensabile
per il recupero della pienezza di vita ecclesiale. Nei confronti delle
chiese orientali, essa è disposta ad accettare che queste mantengano
il loro stato dogmaticamente "sottosviluppato", a condizione della loro
sottomissione alla sede romana. Questa posizione giunge di fatto a sorvolare
su notevoli differenze di fede: la posizione ambigua nei confronti del
filioque (q.v.), contemporaneamente accettato o respinto a seconda
del "rito", ne è una prova.
Da questo si capisce come mai il magistero cattolico
romano consideri tollerabile, e addirittura incoraggiabile, un certo grado
di comunicazione nelle cose sacre (partecipazione dei fedeli di
una Chiesa ai sacramenti dell'altra), anche se non si sia giunti a una
riunificazione su temi centrali della fede.
L'Ortodossia è di tutt'altro avviso. Riconoscendo
la propria fede come l'immutata continuità della fede apostolica,
essa richiama le altre confessioni cristiane, inclusa quella cattolica
romana, al recupero della pienezza delle proprie radici cristiane. Di fronte
a loro si pone, in tutta umiltà, come custode di una verità
che ha saputo mantenere inalterata nei secoli, per la grazia dello Spirito
Santo, e non certamente per proprio merito. Una unità visibile proclamata
con un atto di sottomissione superficiale, dettato da necessità
del momento, e senza un totale accordo di espressione di fede, non provocherebbe
altro che maggiori lacerazioni e ostilità (come dimostrato dai fallimenti
dei concili unionisti medioevali di Lione e di Ferrara-Firenze).
Fino al momento di un accordo nell'integrità della
fede apostolica, l'Ortodossia ritiene che il ricorso generalizzato alla
communicatio in sacris non sia altro che una profanazione, che strumentalizza
la santità dei sacramenti per l'ottenimento di un fine "politico"
contingente.
Roma antica e moderna
Le particolarità del sistema statale dell'antico
Impero romano sembrano avere lasciato sull'attuale Chiesa di Roma una traccia
ben più che folcloristica.
Nella Roma pagana, lo Stato aveva un'enorme significato
nella vita e psicologia dei cittadini, la virtù del patriottismo
era la principale, la sottomissione alla disciplina dello stato era assoluta,
e la "pax romana" era l'ideale da esportare a tutti i popoli; era addirittura
impensabile, in tale contesto, di sottrarsi alla sovranità romana.
Lo sforzo per la creazione di un centro unico e sovranazionale
portò nell'Occidente cristiano allo sviluppo di una mentalità
prevalentemente giuridica. Di converso, lo scarso interesse che gli antichi
romani avevano per le questioni di verità dogmatica si riflette
nella relativa indifferenza dell'Occidente per i dibattiti teologici che
per i primi secoli animarono l'Oriente.
Tale mentalità, che esercitò comunque un
ruolo complementare a quella dell'Oriente cristiano nel primo millennio,
si sarebbe fatta in seguito più pesante per la persistenza di ruoli
di assolutismo monarchico nella Sede romana.
Rosario
La coroncina di grani utilizzata come supporto per la
preghiera è presente sia tra i cattolici che gli ortodossi, ma con
grandi differenze tra gli uni e gli altri. Queste differenze riguardano
più la modalità della preghiera associata alla coroncina
che non l'oggetto stesso.
Il rosario ortodosso (che sarebbe forse tecnicamente
più appropriato chiamare "corda da preghiera") non ha una lunghezza
fissa (i modelli più comuni hanno 33, 50 o 100 "grani"), è
generalmente fatto di lana annodata, in rari casi di cuoio (non facendo
rumore, è adatto per la preghiera mentale e silenziosa), e non viene
usato in forme di preghiera pubblica.
La tradizione del rosario nel cattolicesimo romano associa
la coroncina a una forma di concentrazione su immagini della vita di Cristo
e di Maria. Come avviene in molti metodi di meditazione (q.v.) cristiani
occidentali, con questo approccio si incoraggia attivamente l'uso dell'immaginazione,
che i Padri indicavano come una pericolosa fonte di errori e inganni: le
distrazioni e i pensieri vaganti vengono facilmente camuffati dalla nostra
immaginazione sotto la veste di "meditazioni" sugli eventi della storia
sacra, così come se li raffigura la persona che prega. I Santi Padri
insegnano, piuttosto, a essere sempre cauti con l'immaginazione, a cercare
di controllarla, e non di svilupparla.
La corda da preghiera ortodossa è differente dal
rosario, sia nella formulazione delle preghiere (è fondamentalmente
associata alla cosiddetta "preghiera del cuore", o preghiera di Gesù,
che è una variante della preghiera del pubblicano nel Vangelo di
San Luca: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia
di me peccatore"), sia nel suo proposito, che è quello di aiutare
la persona che prega a focalizzarsi più attentamente sulle parole
della sua preghiera (attraverso il supporto fisico del gesto della mano
che fa scorrere i nodi), e a trattenere i suoi pensieri dalle distrazioni.
Sacramenti di iniziazione
Nella Chiesa ortodossa, i sacramenti dell'iniziazione
cristiana vengono amministrati come nella Chiesa dei primi secoli: battesimo,
cresima ed eucaristia vengono conferiti in quest'ordine, e tutti assieme,
poiché chiunque entra a far parte della Chiesa ha diritto di riceverne
appieno tutti i privilegi.
Il Cattolicesimo romano, riservando il conferimento della
cresima ai soli vescovi, sconvolse l'ordine dei sacramenti di iniziazione,
facendo della cresima un "rito di passaggio" della tarda infanzia o dell'adolescenza
(residui dell'antico uso dei sacramenti congiunti sono comunque rimasti
nelle unzioni battesimali), e situando la prima comunione in un'età
di uso della ragione, abbinata alla confessione dei peccati.
L'Ortodossia non può che deplorare questo sistema
di mutilazione della vita cristiana. Il sistema "latino" priva i bambini
appena battezzati della loro qualifica di membri della Chiesa a tutti
gli effetti, subordina la grazia di Dio data nei sacramenti a una facoltà
di "capire" razionalmente la loro efficacia, e riserva arbitrariamente
la pienezza della vita cristiana a un'età in cui la prima formazione
alla fede è già da tempo superata, e lo sviluppo personale
è più esposto a traumi e conflitti.
Saluto di pace
Nella nuova messa postconciliare, i fedeli cattolici
romani vengono abitualmente invitati dal celebrante a scambiarsi un segno
di pace. Nel rito eucaristico (Liturgie di San Giovanni Crisostomo e di
San Basilio) comunemente usato dagli ortodossi, così come nell'antica
messa tridentina, il saluto di pace viene scambiato solo tra coloro che
servono all'altare. Inoltre, il saluto di pace nel rito eucaristico ortodosso
è situato subito prima della recitazione del Credo (preceduto dall'annuncio
"amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito
possiamo professare la nostra fede"). Nel rito latino, antico e moderno,
il saluto si trova invece dopo il Padre Nostro e prima della comunione.
L'Ortodossia mantiene di preferenza il costume del saluto
di pace riservato ai celebranti, perché questo gesto è un
segno di piena comunione, e in senso stretto non andrebbe scambiato
con i non ortodossi. Per gli ortodossi l'odierno uso cattolico romano,
generalizzato a tutti i partecipanti alla messa, ha finito per indebolire
il senso di un segno di comunione tra i fedeli.
Scioglimento e annullamento del matrimonio
Nei casi in cui la Chiesa ortodossa permette le seconde
nozze, essa considera il legame matrimoniale precedente come sciolto, sulla
base del potere di sciogliere e legare dato da Cristo alla sua Chiesa.
La Chiesa romana, d'altro canto, insistendo sull'indissolubilità
del vincolo matrimoniale, ritiene che la Chiesa non abbia il potere di
scioglierlo, e si trova così costretta ad annullarlo
(o per meglio dire, a dichiarare che il matrimonio non ha mai in realtà
avuto effetto), nei casi in cui un legame affettivo tra i coniugi ha di
fatto cessato di esistere.
Per giungere a sostenere che un matrimonio non ha mai
realmente avuto luogo, laddove manchino dati di evidenza certa, la teologia
romana deve per lo più fare ricorso ai cosiddetti vizi del consenso
(riserve mentali al momento della celebrazione del matrimonio), che prevengono
l'effettiva realizzazione del legame matrimoniale, o ad altri concetti
di difficile valutazione, quali l'immaturità emotiva al consenso.
l'Ortodossia ritiene il ricorso ai vizi del consenso
come un espediente privo di qualsiasi solidità giuridica (perché
una riserva mentale attiene quasi esclusivamente alla sfera dell'intenzione,
che è una delle qualità umane più difficili, se non
impossibili, da dimostrare), un tentativo di coprire un divorzio senza
chiamarlo con questo nome. Realisticamente, il ricorso all'immaturità
emotiva può essere visto come un sentiero spalancato per annullare
in pratica qualsiasi matrimonio tra coniugi giovani.
Il concetto stesso della possibile nullità del
matrimonio rende impossibile essere sicuri che una qualsiasi coppia cattolica
romana abbia avuto un matrimonio sacramentale, o sapere se in un rito nuziale
cattolico romano venga davvero creato un vincolo matrimoniale valido.
Pertanto, l'idea dell'annullamento è vista dagli
ortodossi come qualcosa di più di una destrezza di mano con cui
il diritto canonico cerca di coniugare un approccio pastorale con un rigore
di principi (cosa che in sé sarebbe accettabile all'Ortodossia):
il vero problema è che il concetto di nullità mina alle radici
la teologia sacramentale.
Scolastica
Il sistema teologico della scolastica, originatosi nel
Medioevo latino e rimasto tuttora il motivo conduttore della speculazione
teologica cattolico-romana, mira soprattutto a formulare le ragioni della
fede cristiana di fronte a qualsiasi obiezione o interrogativo.
Una delle obiezioni metodologiche mosse dagli ortodossi
è che un sistema che pretenda di dare tutte le risposte scivola
presto nel razionalismo, e la dimostrabilità della verità
si sostituisce come criterio alla verità stessa.
Sedi apostoliche
Il "ministero petrino" del Cattolicesimo romano, e la
stessa definizione di Roma come "Sede Apostolica", si fondano sulla successione
dei Papi di Roma sulla sede dell'Apostolo Pietro.
Occorre forse prestare maggiore attenzione alla distinzione
tra apostoli e vescovi: anche se nella comprensione ortodossa, così
come in quella cattolica romana, non c'è dubbio che i vescovi siano
i successori degli apostoli, la teologia ortodossa offre una distinzione
più netta dei due ruoli. Gli apostoli, inviati da Cristo ad annunciare
il Vangelo a tutte le nazioni, avevano un ruolo missionario (non
a caso la Chiesa ortodossa definisce i Santi missionari ed evangelizzatori
di intere nazioni come "uguali agli apostoli"): i vescovi, invece, assegnati
a sedi stabili, avevano un ruolo residenziale. Solo uno degli apostoli
è considerato vescovo a tutti gli effetti: si tratta di Giacomo,
che incidentalmente fu l'unico degli apostoli a non andare in missione,
rimanendo a custodire la comunità di Gerusalemme. Se gli apostoli
fondatori di sedi storiche sono messi in cima alle tavole della successione
apostolica, lo sono solo in qualità di iniziatori di particolari
linee episcopali, e non perché certi privilegi "apostolici" devono
essere tramandati ai vescovi di tali sedi. San Pietro, per esempio, è
in cima alle liste di successione apostolica di due sedi: Antiochia e Roma.
Nella teologia cattolica romana (per comprensibili motivi,
dovuti alla ricerca di una continuità di privilegi apostolici della
sede romana) la distinzione tra apostoli e vescovi è più
sfumata.
Segno della croce
Uno dei primi comportamenti che differenziano l'espressione
devozionale di ortodossi e cattolici è il modo di farsi il segno
della croce. Il cattolico di rito latino si segna tenendo la palma della
mano aperta, e toccando la fronte, il petto (solitamente all'altezza del
cuore), e le spalle, prima la sinistra e poi la destra. L'ortodosso
si segna unendo pollice, indice e medio e ripiegando l'anulare e l'indice
sul palmo, e toccando la fronte, il ventre (all'altezza dell'ombelico,
o della cintola), e le spalle, prima la destra e poi la sinistra.
Nell'antico rito russo, il pollice viene unito alle dita ripiegate anziché
alle dita estese.
Il modo ortodosso di segnarsi è carico di un ricco
simbolismo. Questo viene spiegato talora in modi differenti, ma genericamente
si attribuisce all'unione delle tre dita il senso di una professione di
fede trinitaria (tre persone in un unico Dio), e alle altre due dita un
significato cristologico (due nature nella persona di Cristo). L'estensione
del segno della croce al ventre è immagine di centralità
e ricorda la nascita verginale di Gesù Cristo. Il segnarsi dalla
spalla destra alla sinistra richiama la seconda venuta di Cristo dalla
destra del Padre, o il predominio della luce (tradizionalmente associata
al lato destro) sulle tenebre.
Il segno della croce "latino", più semplificato,
venne considerato fin dal suo apparire una modifica del costume apostolico.
Ancora per un certo tempo dopo lo scisma, la stessa sede romana continuò
a deprecare la pratica di segnarsi a mano aperta, e da sinistra a destra.
Chi ha modo di osservare i fedeli cattolici e ortodossi
durante le funzioni di culto, noterà che questi ultimi impiegano
il segno della croce con molta più frequenza e spontaneità
dei primi, talvolta segnandosi più volte di fila, o accompagnando
il segno della croce con inchini e prosternazioni. Pur esistendo complesse
tradizioni monastiche sull'uso appropriato del segno della croce in varie
circostanze, di fatto, esiste nel culto ortodosso una libertà molto
più ampia nell'uso del segno della croce, e può capitare
che fedeli diversi si segnino in momenti diversi.
Senso del mistero
L'Ortodossia e il Cattolicesimo romano hanno attitudini
piuttosto differenti riguardo ai gesti sacri. Nella celebrazione dei misteri
("mistero" è la parola di origine greca con la quale si designano
abitualmente i sacramenti), questa diversità è abbastanza
evidente nel momento solenne della consacrazione eucaristica.
Mentre il mondo latino, sempre attento alla definizione
e all'esposizione dell'ineffabile, accompagna la consacrazione delle Sacre
specie con gesti di ostentazione (elevazione dell'ostia, suono di campane),
la tradizione ortodossa preferisce l'adorazione silenziosa, quasi rifuggendo
come una tentazione il bisogno di definire il mistero in termini umani.
La bramosia di etichettare il mistero, che lo espone
a ogni sorta di razionalizzazione umana, risulta particolarmente sgradita
alla coscienza ortodossa.
Sviluppo dogmatico
La Chiesa ortodossa pensa che nella rivelazione non esista
progresso: i Santi Apostoli avrebbero ricevuto tutta la rivelazione, e
tutta la comprensione della rivelazione, nella discesa dello Spirito Santo
a Pentecoste. Pertanto, i dogmi emanati per combattere gli eretici non
rappresentano per l'Ortodossia uno sviluppo nella rivelazione, né
nella comprensione della rivelazione, ma solo l'espressione di una mediazione
culturale funzionale alla lotta all'eresia (ripetizioni di ciò che
è sempre stato creduto, e che è stato messo in questione,
sfidato o deformato dalla mentalità di questo mondo).
La Chiesa cattolica romana, invece, pensa che la rivelazione
possa venire compresa in una crescita temporale, e che pertanto possano
darsi dogmi che non solo esprimono una correzione di idee eretiche, ma
che rappresentano una maggiore comprensione del deposito rivelato (ne sono
un esempio i dogmi dell'Immacolata concezione e dell'Infallibilità
papale).
Se l'Ortodossia pensa che vi possa essere crescita nella
Chiesa, questa deve essere crescita nella santità, e non nella verità.
È opportuno ricordare che l'idea stessa di sviluppo
dogmatico è tardiva, ed è stata introdotta ufficialmente
solo nel diciannovesimo secolo, con il Saggio sullo sviluppo della dottrina
cristiana del Cardinale John Henry Newman: un'opera che paragona la
dottrina della chiesa a un albero, che da un seme iniziale cresce attraverso
stadi di perfezionamento successivo fino alla piena maturità. In
tal modo, anche i nuovi dogmi ottocenteschi potrebbero essere visti come
"semi" da sempre presenti nella Tradizione cristiana, in attesa del tempo
di germogliare. L'ovvia obiezione a una simile concezione della dottrina
cristiana è che in tal modo si aprono le porte pressoché
a qualsiasi innovazione dottrinale, per quanto dissonante dalla
fede dei padri. L'impressione che ne deriva è che lo "sviluppo dogmatico"
sia un tentativo di giustificare le nuove dottrine del cattolicesimo romano
nell'incapacità di mostrare una loro continuità dalla fede
apostolica.
Teologia
La comprensione cattolica romana della teologia è
che si tratti di una vera scienza, che usa come principi le verità
sicure e fondate della Rivelazione divina, e trae da queste nuova conoscenza
(conclusioni teologiche) con un metodo strettamente scientifico.
La comprensione ortodossa della teologia è che
questa comprenda la partecipazione attiva e cosciente nella percezione
delle realtà del mondo divino: in altre parole, la realizzazione
di una conoscenza spirituale. Essere un teologo nel senso pieno, pertanto,
presuppone l'ottenimento di uno stato di tranquillità (esichìa)
e mancanza di passioni (apatìa), che accompagnano la preghiera
pura e non distratta, e pertanto richiede doni conferiti a pochissime persone.
La tradizione ortodossa definisce ufficialmente "teologi"
soltanto tre santi: Giovanni l'Apostolo ed Evangelista, Gregorio di Nazianzo,
e Simeone il Nuovo Teologo.
Titoli papali
Dal rifiuto delle definizioni del Concilio Vaticano I
sul primato papale, si comprende come l'Ortodossia non si senta di accettare
alcun tipo di definizione che voglia indicare nel papa di Roma un capo
supremo della Chiesa.
Già il termine "pontefice" (un prestito dal paganesimo,
sul quale Tertulliano ironizzava) è visto come una forzatura, mentre
l'espressione Vicario di Cristo (un termine originariamente impiegato
dai re carolingi, e in seguito avocato ai papi), è vista come assolutamente
inconcepibile (a ben vedere, fa pensare a una "vacanza", o carenza, dell'autorità
di Cristo sulla Chiesa, ed è un vero e proprio insulto nei confronti
delle parole di Cristo sulla sua presenza costante nella Chiesa).
Transustanziazione
Pur avendo sempre insistito sulla realtà
della trasformazione eucaristica del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue
di Cristo, l'Ortodossia non ha mai voluto spiegare la maniera del cambiamento.
Nella preghiera eucaristica, viene usato il verbo greco metabàllo
(un termine che si traduce, in modo neutrale, con 'cambiare' o 'trasformare').
La scolastica romana medioevale, adottando la filosofia
aristotelica e la sua distinzione tra 'sostanza' (ciò che fa essere
una cosa) e 'accidenti' (le modalità di manifestazione della cosa
stessa), introdusse e rese vincolante il termine di transustanziazione
(ovvero, cambiamento della sostanza del pane e del vino con quella del
Corpo e Sangue di Cristo, mentre gli accidenti visibili del pane e del
vino restano quelli che erano). La terminologia, che anche secondo gli
ortodossi è un modo legittimo di spiegazione del mistero eucaristico,
costringe comunque all'accettazione della filosofia aristotelica che ne
sta alla base.
Benché il termine 'transustanziazione' sia usato
nella Chiesa ortodossa (per esempio, nel Concilio di Gerusalemme del 1672,
e tuttora in catechismi e opere teologiche), il suo uso è sempre
subordinato al fatto che esso sia soltanto una delle molte modalità
di descrizione del mistero eucaristico.
Uniatismo sugli altari
Se le tristi e complicate vicende dell'uniatismo (che
sarebbe troppo lungo elencare qui) rappresentano una pagina buia per ogni
tentativo di riconciliazione tra ortodossi e cattolici romani, ci si può
chiedere a che pro vengano offerti esempi di santità che sembrano
essere un aperto incoraggiamento all'incomprensione.
Tipico esempio è il vescovo uniata Josaphat Kuntsevich,
canonizzato da Papa Pio IX il 29 Giugno 1867, ed esaltato da Papa Pio XI
nel 1923 nell'enciclica Ecclesiam Dei come ieromartire, esempio
di vita santa e aiuto nell'unificazione di tutti i cristiani. Ancora di
recente Papa Giovanni Paolo II lo ha definito "Apostolo dell'unità".
La sua morte "da martire" ebbe luogo a Vitebsk il 12
Novembre 1623, dove si era recato assieme a un gruppo di suoi sostenitori
per distruggere le tende dove gli ortodossi tenevano in segreto le loro
funzioni. Dopo che uno dei suoi diaconi assalì un prete ortodosso,
la folla inferocita si levò contro il vescovo, che guidava personalmente
il pogrom, e lo uccise a colpi di sassi e bastoni. Il suo corpo fu chiuso
in un sacco e gettato nel fiume Diva.
Poco prima della sua morte, il vescovo Kuntsevich aveva
ordinato la riesumazione di ortodossi morti e ne aveva fatto dare ai cani
i resti; in tutta la sua diocesi di Polotsky, a Mogilyov e Orsha, aveva
saccheggiato e terrorizzato gli ortodossi, chiudendo e bruciando le loro
chiese, vantandosi di atti quali annegamenti, decapitazioni e profanazioni
di luoghi sacri.
Numerose voci si levarono da parte delle stesse autorità:
tra i documenti spicca la lettera datata 12 Marzo 1622, un anno e mezzo
prima della sua morte, inviatagli dal cattolico (latino) Leo Sapiega, cancelliere
del Granducato di Lituania, rappresentante del Re di Polonia: una durissima
condanna della sua oppressione del popolo ortodosso.
Per quanto anche la Chiesa ortodossa abbia canonizzato
dei santi che nella loro vita avevano scelto deliberatamente di lasciare
la comunione romana (tra di loro, Massimo il Greco e Alexis Toth), nessuno
di questi si può avvicinare alla efferata crudeltà del vescovo
Kuntsevich: anzi, almeno nel caso di Padre Alexis Toth, la conversione
all'Ortodossia fu largamente provocata dall'atteggiamento vessatorio delle
autorità romane.
Unicità della Liturgia
In conformità alla prassi di tutta la cristianità
del primo millennio, le chiese ortodosse hanno un singolo altare eucaristico,
e vi si celebra la Divina Liturgia non più di una volta al giorno,
sempre alla presenza di altri fedeli oltre al sacerdote (è esclusa
a priori qualsiasi celebrazione strettamente solitaria). Questo costume
è coerente con la concezione che i primi cristiani avevano della
Chiesa: i laici e il clero radunati attorno al proprio vescovo, e formanti
un unico corpo nel mistero eucaristico. Questa unicità della Chiesa
si combina perfettamente con l'unicità della Liturgia.
In Occidente, nel movimento monastico cluniacense (XI
secolo), si iniziò a separare atto liturgico e comunità dei
credenti, nella convinzione che il sacrificio eucaristico potesse essere
di maggiore aiuto se celebrato con più frequenza, a suffragio di
quante più persone possibile (particolarmente i defunti). Iniziarono
così i fenomeni degli altari secondari, eretti in navate e cappelle
laterali delle chiese, perché un maggiore numero di sacerdoti potesse
celebrare l'eucaristia. Ebbero altresì inizio le cosiddette "Messe
private", celebrate dal sacerdote senza concorso di fedeli, a volte come
esercizio devozionale, talora come "Messe di suffragio".
La tradizione ortodossa ritiene che questa concezione
"quantitativa" dell'eucaristia ne abbia svilito e snaturato lo spirito;
nonostante l'Ortodossia apprezzi i tentativi di ritornare all'antica tradizione
compiuti dal movimento liturgico cattolico di questo secolo, essa continua
a vedere nei recenti insegnamenti cattolico-romani in materia la medesima
impostazione.
Unità e uniformità
Una vera unità nella fede può accomodare
numerose forme diverse di esprimere detta fede: su questo punto generale,
Ortodossia e Cattolicesimo romano coincidono.
Esistono numerose difformità nel culto ortodosso,
derivate per lo più da usi locali: queste comprendono, per esempio,
l'inclusione o l'omissione di certe formule di preghiera all'interno di
una data funzione (o l'inversione dell'ordine di alcune preghiere), diversità
di titoli clericali e gerarchici, cambiamenti nel posizionamento di icone
o di arredi sacri all'interno della chiesa, differenze di pratiche devozionali
e di forme di digiuno o ascesi.
Non si trova mai, tuttavia, un bi-polarismo simile a
quello della Chiesa Cattolica Romana nel suo tentativo di armonizzare riti
orientali e occidentali: un esempio è la ricezione della comunione
da parte dei bambini piccoli, vista come "svantaggio" tra i cattolici occidentali
e come "vantaggio" presso i cattolici orientali.
Unzione degli infermi
Il sacramento dell'Unzione degli infermi, basato su Gc
5, 14-15, e sulla pratica della Chiesa nei tempi apostolici, fu ristretto,
nel mondo cattolico romano dal XII al XX secolo, ai casi di morte imminente,
prendendo il nome di "estrema unzione", e divenendo una sorta di sacramento
dei morenti.
La Chiesa ortodossa, mantenendo l'amministrazione di
questo sacramento a tutti gli infermi, di corpo come di spirito, non lo
ha mai riservato ai soli morenti. Pur amministrando l'Olio santo anche
ai malati terminali, essa non lo considera una parte necessaria dei riti
per i morenti (che includono la confessione, il viatico e le preghiere
per la dipartita dell'anima).
Validità dei sacramenti
Nella concezione cattolica romana, si presume che i Misteri
vengano compiuti dal clero, lecitamente o illecitamente, ma in un
modo "valido"; gli ortodossi affermano invece che i Misteri vengono serviti
dal clero, e di conseguenza la questione della validità perde di
senso al di fuori del contesto del servizio ministeriale nella pienezza
della Chiesa apostolica.
Queste diverse concezioni hanno portato a equivoci, con
accuse spesso ingiustificate alla Chiesa ortodossa, sulla questione della
ricezione dei convertiti (q.v.)
Esisteva una direttiva ufficiale e legittima (per quanto
non proprio universale e piuttosto tardiva), descritta nel manuali a uso
del clero, per ricevere i convertiti attraverso la rinuncia alle eresie
e la confessione, e senza la ripetizione dei riti del Battesimo e della
Cresima amministrati in modo formalmente adeguato in chiese non ortodosse.
Questa pratica fu seguita soprattutto nella Chiesa russa, non senza un
influsso teologico latino, e con lo scopo principale di favorire il ritorno
all'Ortodossia degli uniati.
In circostanze moderne, questo grado di economia (che
è un modo misericordioso di ricevere i convertiti), può
essere facilmente confuso con un effettivo riconoscimento di sacramenti
e misteri al di fuori della Chiesa Ortodossa; può facilmente lasciar
credere che gli ortodossi sottoscrivano concetti come quello delle "Chiese
sorelle" (q.v.), o quello della "validità automatica" dei riti conferiti
al di fuori della Chiesa.
La grazia degli atti sacramentali compiuti al di fuori
della Chiesa non può essere mai riconosciuta per sé (tant'è
vero che gli ortodossi sono comunque tenuti, in ogni caso, a non accostarsi
ai sacramenti delle chiese non ortodosse, e che è unicamente nel
caso di ricezioni di convertiti che si pone la questione della ripetizione,
o non ripetizione, di sacramenti ricevuti in precedenza). L'Ortodossia
non specula sulla eventuale presenza della grazia al di fuori dei
limiti visibili della Chiesa: l'unica grazia che può essere decisamente,
e ufficialmente, riconosciuta come presente e attiva nella vita dei cristiani
non ortodossi (e peraltro anche dei non cristiani), è quella grazia
che li conduce alla pienezza della Chiesa.
Venerazione delle icone
Mentre non è inconsueto vedere cattolici romani
pregare per lungo tempo di fronte a immagini sacre, si può facilmente
notare come i fedeli ortodossi assumano un atteggiamento di maggiore dialogo
e interazione con le icone: nella tradizione ortodossa è d'uso,
entrando in una chiesa o in una casa, segnarsi di fronte alle icone, baciandole
e accendendo di fronte a loro candele e lampade.
In stretta conformità con i decreti del settimo
Concilio Ecumenico (Nicea, 787), il cui Sinodico fa parte integrante
del culto ortodosso, la venerazione delle immagini sacre è parte
integrante della vita di fede, pubblica e privata, dei cristiani ortodossi,
che nella loro iconografia hanno un segno di straordinaria continuità
con la fede apostolica.
Questo forte senso di compenetrazione con le immagini
sacre è andato sempre più affievolendosi in Occidente, con
una progressiva decadenza verso un'arte naturalistica indulgente al razionalismo
e al sentimentalismo, e all'uso dell'immagine come "supporto meditativo".
Gli ortodossi, di fronte agli innumerevoli "sviluppi"
dell'arte religiosa cattolico-romana, che in gran parte hanno contribuito
a neutralizzare la sinfonia tra arte sacra e devozione cristiana, non possono
fare altro che vedervi i segni di un autentico allontanamento dalla verità
e dalla pienezza di fede.
Vetrate istoriate
Per quanto si possa dire che gli ortodossi non badino
a spese per decorare con ricchezza e solennità l'interno delle loro
chiese, non si è sviluppata tra loro l'arte delle vetrate colorate
che ha reso famose le grandi cattedrali gotiche del medioevo (e che da
queste è passata anche al protestantesimo). Ciò ha avuto
ragioni storiche: la tipica architettura bizantina e slava non ha mai permesso
un grande spazio per le finestre, e sovraccaricare di colori le poche aperture
esistenti avrebbe sottratto illuminazione all'interno. Tuttavia, anche
con le più ampie aperture permesse dalle moderne tecnologie, si
è preferito comunque mantenere un colore uniforme e soffuso per
le vetrate, senza decorazioni particolari (un tipico caso è la cattedrale
di San Demetrio a Salonicco, in Grecia). Certamente, non si può
parlare di avversione all'iconografia (dopo tutto, le icone sono definite
"finestre" sul cielo), ma bisogna piuttosto considerare questa apparente
carenza in relazione con le altre immagini all'interno delle chiese. Nelle
cattedrali gotiche, le vetrate colorate arricchivano quello che sarebbe
altrimenti stato un ambiente spartano; in una chiesa ortodossa, esse creerebbero
probabilmente contrasto e confusione con l'iconografia parietale (affreschi
e mosaici), limitandone l'illuminazione e proiettandovi sopra fasci di
luce eterogenea e innaturale. Inoltre, diventerebbero un falso surrogato
delle icone interne. La finestra ideale di una chiesa ortodossa deve donare
un senso di luce celeste e traslucida (per questo erano sapientemente usati
nell'antichità l'onice e l'alabastro), che esalta il valore dell'iconografia
interna.
CONCLUSIONE
È stato necessario insistere sugli elementi di
differenza, sia per far comprendere come non bastino vaghi desideri di
ecumenismo per proclamare che "nulla ormai ci divide", sia perché
talvolta è proprio imparando a conoscere ciò che ci differenzia
dagli altri (e le loro ragioni per essere quelli che sono), che si impara
ad apprezzarne i diritti e a rispettarli nelle loro convinzioni. Talvolta
si impara a conoscere meglio anche se stessi, la propria Chiesa e le proprie
tradizioni...
Non abbiamo preteso di essere esaustivi: esistono ancora
molte altre differenze che un attento osservatore potrà notare,
ma confidiamo che la nostra panoramica sia sufficiente come inizio.
Ci auguriamo che queste nostre osservazioni possano stimolare
un ulteriore desiderio di conoscenza reciproca tra cattolici romani e ortodossi,
una più profonda riverenza per la Verità, un senso di lealtà
e di rispetto nel confronto.
CREDITI E RINGRAZIAMENTI
Questo testo è nato da una serie di discussioni
e dibattiti avvenuti in seno alla comunità ortodossa torinese, ed
è stato in diverse occasioni analizzato e riveduto a cura di sacerdoti
ortodossi in varie parti d'Italia. Fino alla sua stesura definitiva nel
1997, il testo si è arricchito con molte idee espresse nel corso
di dibattiti in Internet sull'Ortodossia e il Cattolicesimo romano.
A causa della stratificazione successiva di dati e argomenti,
ci è impossibile assegnare a ciascuno un credito specifico per le
idee espresse.
Per lo stesso motivo, ci risulta gravoso aggiungere una
bibliografia di riferimento, che sarebbe forse lunga quasi quanto il testo
stesso.
A tutti quanti hanno contribuito alla stesura di queste
pagine va comunque il nostro ringraziamento.